Ammiro chi lavora con le mani, tipo i falegnami e i fabbri. Li frequento, e alcuni sono diventati miei amici. Riesco a “vedere” nella mia mente quello che mi piacerebbe fare, e magari a spiegarlo, ma poi… farlo davvero è tutt’altra cosa. Un giorno, però, ho scoperto che, per cose molto elementari, riesco a far qualcosa persino io.La famiglia di mia moglie ha una minuscola casetta in un paesino dell’entroterra ligure, abbandonato negli anni Sessanta, dove, durante il periodo estivo, tornano i discendenti degli antichi abitanti. Si gira per i boschi, e ci vuole un bastone, perché il terreno è impervio. Seduto a prendere il fresco, una sera, mi ritrovo a parlare con Bepìn che maneggia un bastone con una bella “boccia” ad un’estremità. I miei bastoni erano semplici rami diritti, senza alcuna velleità.Che legno è? chiedo. Rosa, mi risponde. Se vai nel prato dietro al paese ci sono tanti cespugli che hanno rami come questo. Durante un periodo in Papua Nuova Guinea avevo comprato un grosso coltello da sopravvivenza, e lo porto anche nelle mie vacanze appenniniche. Non si sa mai. Guardo i cepugli di rose selvatiche con altri occhi e, davvero, ci sono tronchi diritti, che partono dalla base del cespuglio dai quali, appunto, si possono ricavare belle “bocce”. Non è facile tirar fuori uno di quei bastoni con un coltello. Ma ci riuscii, tornando a casa pieno di graffi e con il mio trofeo: un bastone come quello di Bepìn.Non contento, mi misi a cercarne altri, e una volta, in un cespuglio di biancospino, un intrico di rami pieni di spine, vidi un ramo drittissimo e lungo che partiva da una radice tondeggiante. Mi ci vollero ore per ripulire tutt’attorno, con il coltello, e poi per tagliare quella radice. Tirata via la corteccia, il legno bianchissimo e la boccia lo fanno sembrare un enorme osso, con un legno molto più duro di quello di rosa.Vidi la luce quando andai in Irlanda, nella stazione marina di Portaferry, a tenere un corso sugli animali di cui sono specialista. Dalla finestra della mia stanza vidi passare una coppia di escursionisti. Avevano bastoni neri, dritti, dai quali spuntavano spunzoni che li rendevano ispidi, ovviamente con una bellissima boccia apicale. Chiesi in giro. Si chiamano schillelagh. La rete mi fornì tutte le indicazioni. Si fanno con il legno di cespugli che, in inglese, si chiamano blackthorn (spine nere), mentre il biancospino è il whitethorn (spine bianche).Altre ricerche mi rivelarono che i boschi attorno al paesino sono pieni di questi cespugli spinosi, il biancospino produce bacche rosse, e il prugnolo, questo il nome italiano dei blackthorn, bacche bluastre. Li ho avuti sotto gli occhi per anni, senza accorgermene. Soperto il segreto cominciai a cercarli. I cespugli di prugnolo sono intrichi di rami pieni di spine lunghe e acuminatissime, inattaccabili con un coltello, così comprai una motosega a batteria e, dopo aver visto qualche tutorial in rete, scoprii l’esistenza della raspa giapponese, molto efficiente per rifinire i bastoni. Potevo fare gli schillelagh!Le mie esplorzioni attorno al paese mi portarono a identificare tutti gli intrichi di prugnolo e, al loro interno, a trovare i rami “giusti”. A volte ne trovavo uno dopo ore di esplorazione e lavoro di estrazione. E poi c’è la lavorazione. Prima con le cesoie, per rimuovere tutte le spine, ma lasciando le basi sporgenti. Poi la raspa giapponese, operata delicatamente, per lasciare la corteccia di colore scuro. Ci sono rami drittissimi e quasi levigati, e altri ricurvi e con la corteccia rugosa, nella stessa pianta. Ogni ramo ha la sua identità, che va rispettata. La finitura di uno schillelagh richiede lavoro di cesello, per scoprire “dove” quel ramo possa arrivare.Finito il lavoro di raspa si passa alla carta a vetro, per levigare. E poi la cera e la lucidatura. Tra la ricerca del ramo giusto e la lavorazione, ogni bastone richiede ore e ore di lavoro, a volte giorni. E ho scoperto lo Zen. Mentre faccio queste cose il mio cervello si focalizza su dettagli apparentemente insignificanti e per periodi impercettibili ho scoperto come non “pensare a niente”. Capito il trucco, riesco a stare per ore a “non pensare a niente” mentre faccio un bastone, senza prevedere quel che farò. Il legno mi suggerisce cosa fare, senza che io ci debba pensare, lo assecondo soltanto.Intendiamoci, le mie creazioni sono molto lontane dalla maestria dei fabbricanti irlandesi di schillelagh, ma mi accontento. Ora ho scoperto i rami storti, molto storti, che a volte, alle due estremità, sono simmetrici e che, tenuti in mano, si comportano come se fossero dritti. Sono la mia ultima mania. Li cerco come un cercatore d’oro cerca il filone, e lavorarli mi impegna per giornate intere.Vedendomi così assorto in questa attività, il resto del paese è convinto che la mia testa non sia completamente a posto. E hanno ragione, per un mese all’anno se ne va senza meta, inseguendo un modello di bastone. Sempre diverso.I pezzi di legno sono i miei maestri Zen. E da qualche anno ho anche degli allievi: i bambini. Loro capiscono. Per una o due settimane abbandonano i videogiochi. Ogni tanto, tenendogli la mano, li lascio persino usare la motosega. Tornano a casa sporchi e pieni di piccole ferite che, fieri, si confrontano. Tornati dai boschi, ci sediamo su un muretto, il nostro laboratorio, e ognuno lavora al suo bastone.Ho avuto migliaia di allievi, all’università, e mi hanno dato grandi soddisfazioni, ma erano già adulti. L’entusiasmo dei bambini non ha paragone. Invece di andarsene con un diploma, una laurea o un dottorato, finiscono il corso con un bel bastone, fatto con le loro mani. Il più piccolo che ho avuto aveva quattro anni.L'articolo Coi bastoni ho scoperto lo zen: il lavoro manuale non mi fa pensare a nulla proviene da Il Fatto Quotidiano.