“Chiunque va negli ospedali palestinesi, anche se sta bene esce morto. Non ci sono apparecchiature, medicine, materiale per il pronto soccorso, non c’è niente di niente perché è un ospedale palestinese e non ci sono soldi per tenerlo in vita. In Palestina è meglio non ammalarsi. Eppure i malati sono tanti. Questa maledetta guerra ci sta annientando e non c’è una sola ragione sensata che la giustifichi.”Conobbi Nua nel marzo 2005, durante uno dei miei viaggi in Israele e Palestina. Nua è una pediatra palestinese che lavora in un ambulatorio messo in piedi da suore francesi a Gerusalemme. Ogni mattina si reca a piedi, dalla sua casa a Gerusalemme est, fino all’ambulatorio dove si occupa di visitare e curare i bambini poveri. Naturalmente i pazienti sono tutti palestinesi. Con Nua ci incontriamo, grazie a un comune amico, in quella città che gli israeliani chiamano Yerushalayim, “città della pace”, e gli arabi Al-Quds, “la santa”.Viviamo in un posto magnifico. Non riuscirei mai ad andarmene di qui. Amo questo Paese, anche se è difficile resistere perché è come abitare in una grande prigione. La pace, a qualunque costo, è la cosa migliore per tutti. Il popolo non ama la guerra, nemmeno quello ebraico. Nessuno. Questa è la Terra Santa e come può una terra santa continuare a vedere scorrere sangue? Basta con questa guerra! Dobbiamo isolare i malvagi. Spegnere i focolai di odio prima che ci contaminino tutti e in maniera irreparabile. Non è giusto che ci siano morti. Che senso ha morire in strada mentre si mangia un gelato o mentre si passeggia o si guarda un tramonto? Non ha senso. Ma davvero si crede che possa esistere un Dio che ama vedere scorrere sull’asfalto il sangue di tutti i figli? Sarebbe un Dio ben misero. Se davvero nell’altro vedessimo Dio, o semplicemente noi stessi, non ci sarebbe più la guerra. Non è Dio che ha fatto la guerra, ma gli esseri umani. Quanto sangue è scorso nel nome di Dio.Io come madre amo tutti i bambini, sia palestinesi sia non. Sento tutti i bambini come figli miei. Dobbiamo pensare al loro avvenire perché solo così miglioreremo questo Paese. Dobbiamo tornare a capire cosa vuol dire amare e amarci perché la libertà non può che nascere da un gesto d’amore. Per il resto non so cosa sia la libertà.Per chi ha la carta d’identità della Cisgiordania o della Striscia di Gaza, a causa dei checkpoint, è difficilissimo entrare a Betlemme. A volte ci fanno aspettare anche due o tre ore sotto il sole. Ci hanno obbligato a vivere in questa situazione e non possiamo fare altro che accettarla. Non abbiamo il potere di cambiare le cose e dobbiamo accettare quello che c’è. L’unico permesso che abbiamo è quello di tentare di sopravvivere.Non mi fa piacere circolare per le strade con i militari in agguato a chiedermi cosa faccio lì, perché sono lì, o di esibire il documento. Sono un numero e posso passare i controlli solo se la mia carta d’identità è di un colore e non di un altro.In questa terra l’odio è la normalità. Al checkpoint i soldati non ti dicono: “Per favore, potrebbe darmi la sua carta d’identità?” ma “Dammi la carta d’identità!” Solo raramente qualcuno ti augura buona giornata e allora ci si sente in modo diverso: ci si sente rispettati.A volte mi chiedo se in una situazione del genere è possibile ancora sentirsi liberi: sì, ma solo se ignori tutto quello che ti circonda. C’è un vecchio proverbio palestinese che dice: ignora e vivrai. Dimenticare il futuro e vivere solo il presente.A volte guardo mio figlio negli occhi e non so cosa dirgli: conosce già tutto della guerra. L’odio è una malattia adulta capace di contagiare anche il mondo dei bambini; e non c’è vaccino. Mio figlio vive in questa realtà e non posso far nulla per nascondergliela. La situazione non la vede soltanto in televisione, ma la vive in prima persona. Il dolore degli altri per lui è la quotidianità e non un telegiornale. Nel 2002 aveva due anni, c’era il coprifuoco e gli israeliani minacciavano di uccidere chiunque si trovasse per strada. Restammo due o tre giorni chiusi in casa senza nulla da mangiare o da bere. Niente pane, latte. A volte anche l’acqua non c’era perché ce la chiudevano. Barricati in casa sentivamo solo spari e il cigolio dei carri armati in movimento.Uno di quei giorni alcuni soldati israeliani sfondarono la porta di casa nostra ed entrarono. Ci costrinsero a uscire. Sospinti dai soldati arrivammo davanti all’ingresso dove vidi la porta di casa divelta e al suo posto un grosso carro armato.Spero si raggiunga la pace, perché io non riesco più a dormire la notte. Come si fa a restare lucidi pensando che qualcuno in giro ti vuole ammazzare? Spero che mio figlio abbia un buon futuro e quello che voglio per lui lo voglio per tutti i bambini. E’ insopportabile vedere bambini per strada pagare le conseguenze degli errori dei genitori.Quest’ultima frase da allora la porto sempre con me: “E’ insopportabile vedere bambini per strada pagare le conseguenze degli errori dei genitori.” Ieri, come oggi.L'articolo La mia chiacchierata con una pediatra palestinese risale a vent’anni fa, ma è ancora attualissima proviene da Il Fatto Quotidiano.