Mali. I qaedisti attaccano l’esercito: 21 militari uccisi

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di Giuseppe Gagliano – Il Mali è tornato al centro dell’attenzione internazionale dopo gli attacchi coordinati del 19 agosto, rivendicati da Jama’at Nusrat al-Islam wal-Muslimin (JNIM), gruppo legato ad al-Qaeda. 21 soldati uccisi, 2 catturati, 15 veicoli sequestrati e oltre 50 armi sottratte: un’operazione su larga scala che ha messo in evidenza la vulnerabilità delle forze armate maliane e la crescente capacità operativa dei jihadisti.Il SITE Intelligence Group ha confermato l’azione, mentre l’esercito di Bamako si è limitato a parlare di un “attacco simultaneo” contro i suoi avamposti. La discrepanza tra la versione ufficiale e i dati diffusi dai jihadisti sottolinea il clima di incertezza e di debolezza che circonda le istituzioni maliane, nonostante le promesse di sicurezza seguite ai colpi di Stato del 2020 e del 2021.Gli attacchi hanno colpito anche la regione di Segou, cuore agricolo del Mali e snodo strategico per i collegamenti commerciali. Una zona che, se destabilizzata, rischia di compromettere l’economia già fragile del Paese. Le esportazioni di cotone e di bestiame, principali fonti di reddito, dipendono da questa regione. La violenza diffusa riduce gli investimenti, blocca le rotte e alimenta un circolo vizioso: povertà, disoccupazione e reclutamento jihadista.In questo contesto, JNIM non usa soltanto le armi ma anche strumenti di legittimazione sociale: distribuisce cibo, negozia con autorità locali e si propone come “alternativa politica”. Così, la guerra non si combatte soltanto con i fucili ma anche con il pane, rendendo sempre più complesso il contrasto da parte di uno Stato economicamente allo stremo.Il gruppo jihadista più potente del Sahel ha abbandonato le sole tattiche di guerriglia rurale per puntare al controllo del territorio, soprattutto intorno ai centri urbani. Le azioni coordinate, come quella del 19 agosto, rivelano una strategia di logoramento che mira a dimostrare l’impotenza dello Stato e la fragilità delle forze armate.Nonostante l’assistenza di partner stranieri in passato (dalla Francia con l’operazione Barkhane alla presenza di forze russe della Wagner), il Mali continua a non riuscire a stabilizzare il proprio territorio. La sostituzione degli alleati occidentali con quelli russi non ha prodotto miglioramenti visibili: i jihadisti avanzano e l’esercito arretra.Il Mali non è un caso isolato. La destabilizzazione del Paese si inserisce nel più ampio quadro del Sahel, regione che si estende dal Senegal al Ciad e che rappresenta oggi la frontiera più instabile del mondo. Qui si incrociano rotte migratorie, traffici illegali di armi e droga, competizione per le risorse naturali e la presenza di potenze esterne in lotta per l’influenza: Francia, Russia, Turchia, ma anche Cina e Stati Uniti.Il JNIM sfrutta abilmente questo vuoto di potere: si presenta come difensore delle comunità marginalizzate, come nel caso dei Fulani, spesso accusati collettivamente di collusione con i jihadisti e vittime di ritorsioni sanguinose. Così, propaganda e realtà si intrecciano, trasformando la guerra in una lotta anche identitaria ed etnica.Il Sahel diventa dunque un laboratorio di conflitto asimmetrico, dove i jihadisti non puntano a conquistare capitali ma a erodere progressivamente lo Stato, fino a sostituirlo come attore politico legittimato. Per l’Europa, che già paga il prezzo delle crisi migratorie e della dipendenza energetica, la crescente instabilità del Sahel rappresenta una minaccia diretta.Il Mali, al pari di Burkina Faso e Niger, sta scivolando in una guerra prolungata che difficilmente troverà soluzione senza un nuovo equilibrio internazionale. L’assenza di una strategia coordinata tra le potenze, la debolezza degli Stati locali e la capacità dei jihadisti di coniugare violenza e consenso sociale fanno del Sahel una polveriera permanente.Non si tratta più soltanto di “terrorismo”, ma di un processo di sostituzione statuale. E se l’Occidente continua a guardare altrove, i jihadisti non solo manterranno il controllo del Sahel ma lo trasformeranno in un cuore pulsante di instabilità per tutta l’Africa e per il Mediterraneo.