"Joyce detestava le responsabilità”. A volte ci vuole uno scrittore (in questo caso una scrittrice) per raccontare la vita di un altro scrittore. Nella sua biografia del conterraneo James Joyce, la ragazza di campagna Edna O’Brien – morta l’anno scorso – non si limita a raccontare per filo e per segno una vita, ma riesce a individuare tutti quegli elementi che hanno portato l’irlandese “costruttore di labirinti” a comporre opere come l’Ulisse o i Dubliners, decriptando la sua sensibilità. Gli eventi, gli incontri, i traumi diventano tutti dei mattoncini che spiegano ispirazioni, movimenti ed evoluzioni della prosa dell’uomo che voleva “ellenizzare” l’Irlanda. O’Brien ci dice che ogni granello di esperienza costruisce lo scrittore. Ogni bacio, ogni litigio e ogni desiderio piastrellano la strada verso la creazione della letteratura. “Ulisse”, scrive O’Brien, è la quintessenza di tutto ciò che aveva visto, sentito o origliato, è consacrazione e profanazione”. Joyce nelle frasi perfette di O’Brien è nudo, senza fastidiose romantizzazioni, ed è una nudità che serve per capire il demone letterario, niente gossip, anche quando si entra nel capitolo delle lettere “pornografiche” tra lui e la moglie Nora, si guarda la letteratura. Joyce, così irlandese da diventare uno dei simboli del suo paese, ma perenne expat – “come le oche selvatiche voleva andarsene altrove. Aveva un sogno, Parigi, la ‘lanterna degli amanti nella foresta del mondo’” – è la pallina di un flipper che viaggia tra ambizioni e miserie. Richard Ellman definisce la vita di Joyce un movimento continuo “da una crisi all’altra, da un’esacerbazione all’altra”. Come i personaggi di Dublino di cui scriverà, mentre è assillato dai creditori, con Nora incinta per la seconda volta, anche Joyce diventa una di quelle creature “escluse dal banchetto”. Le donne di Joyce hanno molto spazio in queste pagine – la madre e Nora, soprattutto, ma anche le amanti. Anni dopo O’Brien scriverà un’opera teatrale tornando su Joyce, raccontandolo attraverso proprio queste figure femminili che hanno dovuto subire le sue ansie o che hanno goduto della sua personalità e della sua mente. “Sognatore e indagatore, mercante di gerundi e supremo fabbro della parola”, Joyce “voleva sbalordire i suoi lettori”, quasi come nella sua vita aveva sbalordito, deluso e affascinato i familiari e le persone che aveva incontrato lungo la sua strada, che lo aveva portato tra Galway, Trieste, Roma e Parigi (la Parigi dove riesce a pubblicare Ulisse, che vende il primo anno 379 copie, di cui 120 “acquistate dallo squattrinato autore”). La biografia scritta da O’Brien ha il vantaggio di essere tradotto dagli iper-joyssiani Terrinoni e Pedone che, tra le altre cose, hanno lavorato sull’intraducibile Finnegan’s wake, rendendo anche qui tutti quei magici tic del miope più superstizioso di Dublino. Edna O’Brien James Joyce Einaudi, 184 pp., 19 euro