di Giuseppe Gagliano – Il 23 agosto scorso l’Aeronautica Militare Nigeriana ha colpito duramente i militanti jihadisti nelle zone di confine con il Camerun, uccidendo almeno 35 combattenti. L’operazione, condotta nella regione di Kumshe (Stato di Borno), rispondeva a un imminente assalto pianificato contro le truppe di terra. È l’ennesimo capitolo di una guerra che, dal 2009, ha provocato oltre 35.000 morti e sfollato più di 2 milioni di persone.Dietro i numeri dell’operazione militare c’è la realtà di un conflitto che continua a mutare pelle, spostando equilibri locali e regionali e rendendo instabile non solo la Nigeria, ma l’intero Sahel.Il conflitto con Boko Haram e con ISWAP (Provincia dell’Africa Occidentale dello Stato Islamico) ha svuotato le casse dello Stato nigeriano, drenando risorse che potrebbero essere destinate a istruzione, sanità e sviluppo. La Nigeria, pur essendo il più grande produttore di petrolio africano, vive una contraddizione strutturale: ricca di risorse, ma povera di capacità redistributiva.La recente approvazione di una vendita di armi dagli Stati Uniti, per un valore di 346 milioni di dollari, evidenzia l’urgenza del governo di rafforzare la difesa, ma anche la dipendenza dal supporto esterno. Una dipendenza che rischia di aggravare l’instabilità macroeconomica, dato il peso crescente della spesa militare rispetto agli investimenti civili.Il panorama jihadista nigeriano è frammentato ma resiliente. Boko Haram, fondato nel 2002 da Mohammed Yusuf, ha seminato terrore con attentati e rapimenti, ma dopo la morte del leader Abubakar Shekau nel 2021, la sua influenza si è ridotta. La fazione ISWAP ha preso il sopravvento, adottando una strategia più sofisticata: guerriglia mirata all’esercito, ma anche servizi minimi per la popolazione, come acqua e assistenza sanitaria.Questa capacità di inserirsi nel tessuto sociale rende ISWAP una minaccia strategica più subdola di Boko Haram. È un jihadismo che cerca legittimazione attraverso la governance, creando zone grigie dove lo Stato nigeriano arretra e i miliziani diventano autorità di fatto.Secondo il Global Terrorism Index 2025, il Sahel è la regione più colpita dal terrorismo a livello mondiale, con il 51% delle vittime globali nel 2024. La Nigeria si colloca al cuore di questa dinamica, ma non è sola: il contagio tocca Ciad, Niger e Camerun.La pressione jihadista trasforma il Lago Ciad e il Borno in un crocevia di instabilità regionale. Ogni operazione militare in Nigeria ha ripercussioni oltre confine, coinvolgendo stati già fragili e incapaci di rispondere con risorse autonome. È in questo contesto che la cooperazione militare internazionale diventa cruciale, ma allo stesso tempo rischiosa, perché alimenta la percezione di governi dipendenti dall’estero.La Nigeria, pur rimanendo una potenza petrolifera, vede la sua economia erosa dalla corruzione e dalla violenza. La guerra nel Borno ostacola le rotte commerciali, frena gli investimenti esteri e riduce la fiducia dei mercati. Il conflitto jihadista si intreccia così con la “maledizione delle risorse”: ricchezze immense incapaci di tradursi in sviluppo per la popolazione.Il Paese rischia di scivolare in una trappola geoeconomica: da un lato, la pressione per investire in sicurezza; dall’altro, la necessità di diversificare l’economia oltre il petrolio. La lotta contro Boko Haram e ISWAP diventa quindi anche una lotta per la credibilità finanziaria e per la capacità dello Stato di attrarre capitali senza sembrare un gigante dai piedi d’argilla.I raid aerei del 23 agosto non sono soltanto un’operazione militare, ma il riflesso della sfida esistenziale che la Nigeria affronta: preservare l’integrità territoriale, ristabilire l’autorità dello Stato e impedire che i jihadisti si sostituiscano al governo come garanti di sicurezza e servizi.Il futuro del Paese si gioca su un equilibrio fragile tra guerra e sviluppo, tra repressione armata e costruzione di istituzioni inclusive. Se Abuja non riuscirà a spezzare questo circolo vizioso, la Nigeria rischia di trasformarsi nell’epicentro permanente di una crisi africana che il mondo non potrà ignorare.