Basta angosce sulle pensioni, siamo sul binario giusto. Cazzola spiega perché

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Non sono state ben accolte le proposte messe in circolazione dal sottosegretario Claudio Durigon in materia di pensioni. Il loro principale limite è quello di una insufficiente chiarezza. In breve sintesi, Durigon propone di bloccare il meccanismo di adeguamento automatico biennale dei requisiti dell’accesso alla pensione all’incremento dell’attesa di vita (costo stimato 2-3 miliardi) e di usare il Tfr per avere la pensione a 64 anni.Dalle prime reazioni anche le opposizioni politiche e sindacali non si sono rese conto delle conseguenze di quelle proposte e ne hanno sottolineato la matrice elettoralistica, dal momento che nel 2027, l’anno in cui diverrebbe operativa la sospensione del meccanismo di adeguamento automatico ed entrerebbe in vigore il primo aumento di tre mesi, vi saranno le elezioni politiche. Se le forze politiche si prestassero ad un bagno di realismo dovrebbero chiedere al governo di fare il meno possibile in tema di pensioni.Dopo anni di follia, il sistema è ritornato fortunosamente sui binari della riforma Fornero. Abbiamo cestinato – a causa della tempesta populista che si è abbattuta sul Paese nelle elezioni del 2018 – una quota di 48 miliardi dei risparmi previsti a regime in conseguenza della riforma del 2011. È bene stare accorti e smetterla con quest’angoscia per le pensioni. Magari sarebbe utile studiare di più e agire seguendo le analisi delle istituzioni preposte. A partire dall’Inps che ha presentato il XXIV Rapporto e dalla RGS che ha aggiornato nel Rapporto n.26 delle “Tendenze della spesa pensionistica e sanitaria” le stime e le previsioni per i prossimi decenni. E lo ha fatto ripercorrendo il cammino compiuto – spesso sbandando dalla retta via – negli ultimi 24 anni.In questo arco temporale l’evoluzione della spesa pensionistica in rapporto al Pil basata sullo scenario nazionale base, che considera sia gli ultimi 24 anni sia la previsione di medio-lungo periodo, è riassunta nelle sue varie e differenti fasi. Dopo la crescita nel triennio 2008-2010, imputabile esclusivamente agli effetti negativi del ciclo economico registrati in quegli anni, il rapporto fra spesa pensionistica e Pil è continuato ad aumentare per effetto dell’ulteriore contrazione del Pil registrata negli anni successivi. A partire dal 2015, in presenza di un andamento del ciclo economico più favorevole e della graduale prosecuzione del processo di innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento, il rapporto fra spesa pensionistica e Pil si è ridotto, attestandosi al 15,1 per cento nel biennio 2017-2018. Poi arriva il tempo degli Unni.Il governo giallo/verde non perde tempo per farsi riconoscere. Così, negli anni dal 2019 al 2022 il rapporto tra spesa pensionistica e Pil prima aumenta raggiungendo il 16,9 per cento nel 2020, poi si riduce nei due anni seguenti, per riprendere a crescere successivamente. In rapporto al Pil la spesa cresce significativamente a causa della forte contrazione dei livelli di Pil dovuti agli effetti della fase iniziale e più acuta dell’emergenza sanitaria, recuperati nel biennio 2021-2022. Nel biennio 2023-2024, tenuto anche conto dell’elevato livello dell’indicizzazione (connesso al significativo incremento del tasso di inflazione registrato a partire dalla fine del 2021 fino al 2023), la spesa pensionistica – in considerazione degli interventi normativi in precedenza ricordati – in rapporto al Pil aumenta portandosi, alla fine del periodo considerato, al 15,4 per cento. In seguito, la crescita del rapporto tra spesa per pensioni e Pil accelera fino a raggiungere il valore di 17,1 per cento nel 2040. Tale dinamica è ascrivibile principalmente all’aumento del numero di pensioni rispetto a quello degli occupati, indotto dalla transizione demografica collegata all’ingresso in quiescenza delle generazioni del baby boom, solo parzialmente compensato dall’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento e dall’effetto del contenimento degli importi pensionistici esercitato dalla graduale applicazione del sistema di calcolo contributivo sull’intera vita lavorativa.Dal 2040 in poi il rapporto tra spesa pensionistica e Pil è previsto decrescere progressivamente con intensità diverse portandosi al 15,9 per cento nel 2050 e al 14,0 per cento nel 2070. La rapida riduzione del rapporto fra spesa pensionistica e Pil nella fase finale del periodo di previsione è determinata dall’applicazione generalizzata del calcolo contributivo che si accompagna alla stabilizzazione, e successiva inversione di tendenza, del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati. Tale andamento risente sia della progressiva uscita delle generazioni del baby boom, sia dell’adeguamento automatico dei requisiti minimi di pensionamento in funzione della speranza di vita. E qui casca l’asino del governo che ha intenzione di manomettere questo meccanismo “virtuoso” garante – dopo molte avventure destabilizzanti – di una relativa sostenibilità.Che cosa potrebbe determinarsi nell’evoluzione della spesa se questa operazione andasse in porto? Torniamo a dare la parola alla RGS, la quale non dissimula le sue preoccupazioni. Le previsioni scontano, inoltre, l’adeguamento automatico dei coefficienti di trasformazione rispetto all’evoluzione dei parametri demo-economici e quello dei requisiti di pensionamento rispetto all’aumento della speranza di vita che sono previsti a legislazione vigente, con cadenza biennale, a partire dal 2016. La dimensione dei suddetti adeguamenti risulta determinata in coerenza con le ipotesi demografiche degli scenari di riferimento sulla base delle probabilità di sopravvivenza e della speranza di vita rilevate a consuntivo da Istat. Tali meccanismi endogeni del sistema pensionistico – precisa la RGS – hanno la funzione, come riconosciuto in sede europea e internazionale, di coniugare le esigenze di sostenibilità del sistema pensionistico con quelle di adeguatezza delle prestazioni”.Poi arriva la mazzata sul governo: “Si stima che la rimozione permanente di tali meccanismi endogeni, a condizioni invariate, comporterebbe un incremento del rapporto debito/Pil di circa 20 punti percentuali al 2045 e di circa 60 punti percentuali al 2070. Con riferimento al solo meccanismo di adeguamento automatico dei requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita, la relativa soppressione comporterebbe un incremento del rapporto debito/Pil di circa 15 punti di Pil al 2045 e di circa 30 punti di Pil al 2070.