Cuba. Pechino e L’Avana annunciano l’asse silenzioso della sicurezza

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di Giuseppe Gagliano – La promessa di una più stretta cooperazione tra la Cina e Cuba in materia di intelligence e sicurezza, annunciata dal capo della Sicurezza di Stato cinese Chen Yixin durante l’incontro con il generale Lázaro Alberto Álvarez Casas, ministro dell’Interno cubano, segna un nuovo capitolo nella già complessa competizione globale tra Washington e Pechino.La dichiarazione, resa pubblica dopo le rivelazioni del Miami Herald sull’utilizzo da parte cinese di una base di spionaggio sull’isola, non è un episodio isolato ma l’ennesimo segnale che il Mar dei Caraibi torna a essere uno snodo della rivalità tra potenze, a sessant’anni di distanza dalla crisi dei missili.Cuba è da sempre un luogo sensibile per gli Stati Uniti. A soli 150 chilometri dalla Florida, l’isola rappresenta una testa di ponte in grado di minacciare direttamente il territorio americano. Durante la Guerra Fredda, Mosca usò Cuba come avamposto strategico, ospitando installazioni di intelligence e basi missilistiche. Oggi Pechino sembra muoversi in modo più silenzioso ma altrettanto determinato, sfruttando la vulnerabilità economica e diplomatica dell’Avana per rafforzare la propria presenza in un’area che Washington considera vitale.Secondo il Miami Herald e altre fonti statunitensi, la Cina gestirebbe già strutture di ascolto elettronico a Cuba, in grado di monitorare le comunicazioni americane e di raccogliere informazioni sensibili. La cooperazione ufficializzata da Chen Yixin e Álvarez Casas appare dunque come la formalizzazione di un rapporto che già esiste sul terreno. Non solo: rappresenta anche un messaggio diretto a Washington.Mentre gli Stati Uniti consolidano la loro presenza nel Pacifico – con accordi con Filippine, Giappone e Australia per contenere l’ascesa cinese – Pechino risponde aprendo un fronte a ridosso del territorio americano. È un classico esempio di “asimmetria strategica”: colpire il rivale là dove si sente più vulnerabile, piuttosto che affrontarlo sul terreno dove è più forte.Per Cuba l’accordo è prima di tutto un modo per sopravvivere. Dopo decenni di embargo statunitense, crisi economiche ricorrenti e isolamento diplomatico, l’Avana ha bisogno di alleati forti. La Cina è già il suo secondo partner commerciale dopo il Venezuela, fornisce investimenti infrastrutturali e sostegno politico. Stringere rapporti in materia di sicurezza significa rafforzare questa dipendenza, ma anche guadagnare uno strumento di pressione verso Washington.La leadership cubana sa bene che la sola presenza di Pechino sull’isola costituisce una garanzia contro tentazioni americane di destabilizzazione. Allo stesso tempo, l’intelligence cinese può fornire al governo cubano tecnologie di sorveglianza e controllo utili a mantenere il potere interno.La mossa si inserisce in una competizione ormai totale tra Stati Uniti e Cina. Washington accusa Pechino di attività di spionaggio informatico e industriale, rafforza i propri legami militari in Asia e inquadra la Cina come principale sfidante al proprio primato. La risposta cinese non è quella di affrontare frontalmente gli Stati Uniti, ma di costruire una rete globale di basi, alleanze e cooperazioni che rendano più difficile per Washington esercitare pressione unilaterale.Non è un caso che Pechino stia consolidando rapporti in Africa (con basi navali come quella di Gibuti), in Medio Oriente (accordi con Iran e Arabia Saudita) e ora nei Caraibi. La logica è chiara: circondare gli Stati Uniti di un mosaico di presenze che riducano il margine di manovra della superpotenza americana.Il rafforzamento dei legami tra Pechino e L’Avana ricorda, per molti aspetti, le dinamiche della Guerra Fredda, ma con strumenti diversi. Allora erano i missili e i carri armati; oggi sono le antenne, i satelliti e le tecnologie digitali. La minaccia non è tanto un attacco militare, quanto la capacità di raccogliere informazioni, condurre cyber-operazioni, influenzare opinioni pubbliche e penetrare sistemi economici.Per gli Stati Uniti, la prospettiva di una base cinese a Cuba è destabilizzante. Non solo perché minaccia la sicurezza delle comunicazioni militari e governative, ma perché rompe un tabù: la sicurezza nazionale americana non è più intoccabile.Le implicazioni per l’America LatinaLa scelta di Cuba avrà ricadute anche sugli equilibri regionali. Molti Paesi dell’America Latina hanno già rafforzato i legami con la Cina attraverso la Belt and Road Initiative. Il fatto che Pechino entri anche nel campo della sicurezza mostra che l’influenza cinese nella regione non è solo economica ma anche strategica. Questo potrebbe spingere Washington a reagire con nuove misure di pressione, intensificando la competizione anche su governi come quello del Brasile o del Messico.Conclusione: la geopolitica dell’intelligenceL’annuncio di Chen Yixin e Álvarez Casas va letto come una mossa che ha valore ben oltre i confini di Cuba. È la dimostrazione che Pechino non si limita a difendere i propri confini, ma cerca di proiettare influenza globale anche attraverso strumenti di intelligence. Cuba, ancora una volta, diventa un laboratorio di geopolitica mondiale: non più il terreno dello scontro tra Washington e Mosca, ma quello della nuova rivalità tra Stati Uniti e Cina.In questo scenario, la piccola isola dei Caraibi riafferma la sua centralità. Non per il proprio peso economico, ma per la sua posizione strategica e per la capacità di ospitare un gioco che la supera. Il rischio, come sempre, è che Cuba finisca per essere pedina più che protagonista, usata come avamposto in una competizione che deciderà gli equilibri globali dei prossimi decenni.