“L’operazione di Viterbo, durante la festa di Santa Rosa, ha ottenuto un risultato superiore alle aspettative: ipotesi di attacco terroristico sventato o di legame con la criminalità, in ogni caso la capacità di intercettazione è stata estremamente efficace”, dice Claudio Bertolotti, direttore e responsabile della ricerca di Start InSight, a Formiche.net, riguardo all’arresto da parte della Digos di due cittadini turchi armati, fermati all’interno di un b&b nel centro storico viterberse.Che sia un episodio di terrorismo o legato al traffico d’armi, siamo intervenuti in maniera preventiva. Si può parlare di know how italiano?La prevenzione ed il contrasto al terrorismo rappresentano ormai un fattore storico e di narrativa. L’Italia ha un’esperienza pregressa che affonda le sue radici negli anni settanta, nel terrorismo rosso e nero. L’esperienza operativa e concettuale ha garantito una base per potersi poi adattare all’evoluzione del terrorismo, in particolar modo quello jihadista, ma non solo, a partire dal 2001 e ancora dal 2015 in avanti.Esperienza diretta ma anche capacità. Siamo bravi e fortunati?Siamo bravi e siamo fortunati. Non è vero che l’Italia non è stata colpita da atti di terrorismo nel corso degli anni. Ci sono almeno nove episodi registrati in Italia, solamente contando dal 2015 ad oggi. La differenza rispetto ad altri atti di terrorismo condotti in altri paesi europei è che questi sono stati fallimentari. Non hanno ottenuto l’intento originario, ovvero quello di uccidere qualcuno. Hanno ferito, hanno tentato di fare anche azioni particolarmente eclatanti. Ma nel fallire non hanno ottenuto l’attenzione mediatica.Non se ne è parlato, se ne è parlato marginalmente, motivo per cui si crede erroneamente che l’Italia non sia un obiettivo del terrorismo.L’episodio di Viterbo evidenzia un continuo monitoraggio da parte delle forze dell’ordine e delle agenzie di intelligence italiane. Una volontà di non farsi trovare impreparati di fronte all’imprevisto, o al prevedibile? Spesso questi sono soggetti segnalati tra le agenzie di intelligence, attenzionati. Questo è un elemento che, condiviso, innesca la possibilità di riuscire a intercettare i sospetti, potenzialmente associati al terrorismo o alla criminalità. L’operazione di Viterbo ha ottenuto un risultato superiore alle aspettative: ipotesi di attacco terroristico sventato o di legame con la criminalità, in ogni caso la capacità di intercettazione è stata estremamente efficace. Ma non è una novità. In Italia nel 2015 eravamo all’avanguardia per quanto riguarda le norme giuridiche, le leggi specifiche per il contrasto al terrorismo. Abbiamo risposto molto bene e molto velocemente agli attacchi di Parigi, Charlie Hebdo e di Bruxelles, per cui la normativa nazionale si è prontamente adeguata al terrorismo. Non riuscendo, però, a promuovere una legge per la prevenzione della radicalizzazione ed il riconoscimento degli indicatori di radicalizzazione, affinché si possa aggiungere a prevenire o contrastare un attacco terroristico prima che questo possa essere portato a compimento. Nonostante i tentativi della diciassettesima e diciottesima legislatura. La mafia turca a Viterbo non è più una novità, prima la rete di Baris Boyun, il boss arrestato un anno fa a Bagnaia poi la scoperta della rete di bed & breakfast trasformati in depositi di armi, basi logistiche per un’organizzazione che traffica droga e intimidisce il territorio. Ad agosto l’arresto di Ismail Atiz, con accuse che spaziano dal riciclaggio all’estorsione, fino al possesso illegale di armi. E nei giorni scorsi un altro esponente della mafia di Ankara è stato individuato ad Anagni. In tutto questo, preoccupano i legami accertati con il fondamentalismo islamico dell’Isis-Khorasan..Non dobbiamo dimenticare che la Turchia ha sostenuto indirettamente i combattenti dello stato islamico tra il 2014 ed il 2017, garantendo loro il passaggio verso la Siria in funzione anti Assad. Il legame, poi reciso negli anni successivi, porta Ankara a dover gestire un problema di ex combattenti affiliati allo stato islamico che, avendo in tessuto relazioni e legami in territorio turco anche con la criminalità organizzata, è ormai diventata una minaccia interna. Questo ci insegna che ogni volta che si ha a che fare con questi soggetti, pensando di poterli utilizzare strumentalmente a proprio favore, in realtà nel medio-lungo periodo ci torna indietro come una minaccia, quella che sembrava l’opportunità del momento. Quindi non escluderei questo tipo di legame anche dietro all’operazione sventata durante la festa della macchina di Santa Rosa.Ancora riguardo l’operazione, quanto pesa la condivisione di informazioni interforze e interagenzia nel processo di adattamento e preparazione per il contrasto delle minacce? L’Italia ha un ottimo sistema di condivisione interna delle informazioni. Attraverso, ad esempio, la piattaforma di condivisione Casa (Comitato di analisi strategica antiterrorismo) che settimanalmente porta un aggiornamento di tutto ciò che avviene a livello nazionale, riunendo Digos, Ros. E al tavolo Casa siedono anche i comparti intelligence. Parliamo di una condivisione totale delle informazioni a livello nazionale, tra organi di polizia e servizi di informazione, e questo è sicuramente un bene.E sul fronte europeo?Una condivisione forse leggermente parziale, ma comunque più che sufficiente, esiste a livello europeo, dove gli organi di intelligence condividono le informazioni, in particolare quelle legate al terrorismo. La struttura italiana è ottima, l’organizzazione europea è molto buona, tutti i Paesi si stanno adeguando e condividendo le loro informazioni. Oggi possiamo dire che, quando un dato informativo viene raccolto, processato e diventa un’informazione di interesse comune, questa verrà condivisa.