Premessa, nessuno vuole negare lo schiavismo, ma credo sia il momento di arginare questa propaganda moderna che sta facendo credere a milioni di ingenui, indottrinati da tv, documentari e una certa stampa che l’uomo bianco europeo sia la causa di tutti i mali. I risultati sono l’abbattimento di statue di personaggi storici come Cristoforo Colombo e maggior esasperazione che alimentano conflitti razziali inutili, con la compiacenza di una certa parte politica…Seguici su: Nella storia dell’umanità ci sono state tre grandi rivolte di schiavi. La prima, guidata dal gladiatore tracio Spartaco contro i romani, scoppiò nel 73 a.C. La terza avvenne nell’ultimo decennio del Settecento, quando il grande rivoluzionario negro Toussaint L’Overture e il suo esercito di schiavi strapparono ai francesi il controllo di Santo Domingo, per essere poi sconfitti da Napoleone nel 1802. Ma la seconda si colloca a mezza strada tra queste due, alla metà del IX secolo d.C., ed è la meno documentata di tutte. Sappiamo però che gli insorti erano negri, e che i califfi abbasidi musulmani dell’Iraq li avevano importati dall’Africa orientale, a migliaia, perché lavorassero nelle saline del delta del Tigri. I ribelli respinsero gli arabi per quasi dieci anni. Trinceratisi negli acquitrini come avrebbero fatto in Brasile, secoli dopo, gli schiavi negri fuggiaschi, parvero allungo invincibili, è solo nel 883 i musulmani riuscirono a schiacciarli. Erano chiamati col nome di Zang’. e lo lasciarono all’isola di Zanzibar, sulle coste dell’Africa orientale che non a caso diventò il principale mercato di schiavi del mondo arabo e tale rimase fino all’ultimo venticinquennio dell’Ottocento. La rivolta degli Zang’ di undici secoli fa dovrebbe rammentarci la totale falsità delle argomentazioni ora di moda, che cercano di far credere che la schiavitù sia stata inventata dai bianchi europei. È vero, invece, che la schiavitù era iscritta nelle fondamenta del mondo classico: l’Atene di Pericle era uno stato schiavista, e così pure la Roma di Augusto. La maggior parte dei loro schiavi erano bianchi, e .Il termine medievale (sclavus) indicò da prima una persona di origine slava; nel Milleduecento si applicava ad altre popolazioni bianche soggiogate dalle armate provenienti dall’Asia centrale: russi, giorgiani, circassi, albanesi, armeni; tutti trovavano prontamente acquirenti, da Venezia alla Sicilia a Barcellona, e nell’intero mondo musulmano. Ma il commercio degli schiavi africani, la tratta dei negri, fu l’invenzione musulmana, sviluppata dai mercanti arabi con l’entusiastica collaborazione dei loro colleghi negri, e istituzionalizzata con la più spietata brutalità secoli prima che l’uomo bianco mettesse piede sul continente africano; continuò poi allungo dopo che nel Nordamerica il mercato degli schiavi era stato finalmente soppresso. Storicamente, questo traffico tra l’Africa mediterranea e quella sub-sahariana comincia proprio con la civiltà che gli afrocentristi sono così smaniosi di rivendicare come negra: l’antico Egitto. La schiavitù in Africa vigeva già da molto tempo, ma nel primo millennio a.C. il faraone Ramsete II si vanta di aver procacciato per i templi più di centomila schiavi; e in effetti è inconcepibile che la cultura monumentale egizia potesse sorgere in un regime economico non schiavista. Nei due millenni successivi le basi dell’economia dell’Africa sub-sahariana furono legati alla cattura, all’utilizzo e alla vendita degli schiavi. Le scene scolpite di vita medievale mostrano schiavi legati e imbavagliati per il sacrificio, e intorno al 1480 i primi esploratori portoghesi trovarono un vasto traffico di schiavi in atto dal Congo al Benin. Nel XIII e nel XIV secolo esistevano nell’Impero del Mali grandi piantagioni a regime schiavistico, e tutte le angherie e le crudeltà inflitte agli schiavi negli Stati Uniti del Sud prima della Guerra di Secessione – compreso l’allevamento di bambini per la vendita, come bestiame – erano praticate dai sovrani negri dei luoghi che ora gli afrocentristi additano a esempio luminoso di alta civiltà, come Timbuctù e il regno dei Songhai.Quattro miti da sfatare sulla schiavitù negli Stati Uniti. E qualche verità da tenere a mente Lo storico Alessandro Barbero: “Abbattere le statue è una forma di razzismo” L’immagine divulgata da romanzi popolari tipo Radici – gli schiavisti bianchi che irrompono, armati di moschetti e coltellacci, nella quiete di pacifici villaggi africani è molto lontana dalla verità storica. Già da secoli esisteva un sistema di compravendita, e i rifornimenti erano controllati dagli africani. E con l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti questo sistema non è svanito affatto. Nel 1865, anno in cui la Guerra di Secessione si concluse con la disfatta del Sud, Livingstone si trovava a Zanzibar. Secondo le sue stime, quell’anno ottanta-centomila schiavi africani furono portati in catene dall’entroterra per opera di mercanti arabi e africani, caricati sui sambuchi e spediti in Persia e nei paesi arabi del Golfo. A differenza degli inglesi e degli americani, nell’Ottocento né gli arabi né i re africani videro la minima ragione umanitaria per opporsi alla schiavitù. I mercati di schiavi che rifornivano gli Emirati Arabi erano ancora operanti a Gibuti nei nostri anni Cinquanta; e dal 1960 il traffico ha prosperato in Mauritania è nel Sudan. Ci sono tuttora notizie di schiavi di proprietà personale nella Nigeria settentrionale, nel Ruanda e nel Niger. Jean-Bedel Bokassa, Incoronato nel 1977 imperatore della Repubblica centrafricana, e abbracciato fraternamente in quell’occasione da un Giscard d’Estaing con un debole per i diamanti, possedeva centinaia di schiavi e ogni tanto, per divertirsi, ne massacrava un certo numero. Se, come ha detto una volta H. Rap Brown, la violenza è americana come la torta di mele, la schiavitù, sembrerebbe, è africana come le patate dolci. Eppure l’idea della colpa solitaria di Europa e America continua a infestare le discussioni sulla schiavitù. Alcuni leader negri africani e anche americani, tra cui, stranamente, il reverendo Jesse Jackson, hanno addirittura proposto che l’America e le nazioni europee industrialmente sviluppate, beneficiarie, a suo tempo, dello schiavismo, paghino adesso una sorta di penale ai paesi africani, a titolo di riparazione ufficiale del danno socio-economico procurato dalla tratta degli schiavi, per aiutare quei paesi a costruire la loro base economica. l’Africa di oggi, sostengono, ne ha diritto tanto quanto Israele ha avuto diritto alle enorme sovvenzioni versate dall’ America e da altri paesi come risarcimento dello sterminio hitleriano degli ebrei europei. Curiosamente, nessuno propone che anche gli Emirati Arabi o l’Iraq diano il loro contributo, che a rigor di logica dovrebbero essere molto consistente (maggiore di quello europeo e perfino di quello americano, e facilmente ricavabile dalle rendite petrolifere). Se Washington deve pagare per i peccati di Simon Legree nella Capanna dello zio Tom, sembra equo che Baghdad debba espiare quelli dei califfi abbasidi. Africani, islamici, europei, tutti ebbero parte nella schiavitù dei negri, la esercitarono e trassero profitto dalle sue miserie. Ma alla fine soltanto l’Europa (includendovi, in questo caso, il Nordamerica) si dimostrò capace di concepire l’abolizione; solo l’immensa forza morale e intellettuale dell’illuminismo, rivolta contro l’odiosa forma di oppressione rappresentata dalla schiavitù, fu in grado, in modo disuguale e con molta difficoltà, di far cessare la tratta degli schiavi. Che ora ci siano dei cosiddetti storici inclini a trascurare questo fatto mi sembra stupefacente. Ma è vero che da queste parti il rasoio di Occam e il concetto che l’onere della prova spetta a chi accusa non contano molto. A questo punto, infatti, ci scontriamo col cardine dell’atteggiamento politicamente corretto riguardo agli studi sull’oppressione. Qualunque affermazione di uno storico o di un testimone europeo bianco, e maschio, è a priori sospetta; mentre quelle di una persona o di un gruppo oppresso meritano istantanea fiducia, anche se non hanno alcun fondamento concreto. Ora, è fuori dubbio che ciò che dice la vittima deve essere ascoltato, perché può gettare nuova luce sulle vicende storiche; ma va sottoposto alle stesse verifiche delle dichiarazioni di chiunque altro, o viene meno il dibattito e la verità ne soffre. Tratto dal libro: LA CULTURA DEL PIAGNISTEO, La saga del politicamente corretto, di Robert HughesSe sei arrivato fin qui ti invito a non fermarti a questo articolo ma a continuare a cercare e valutare, non fermarti mai a cio’ che i media ti dicono o qualche sito internet. Buona ricerca!…