“Sono come ospedali psichiatrici“. In una lettera firmata Elia Del Grande, le ragioni di una fuga ma anche una critica puntuale alle case-lavoro. “Sono recipiente di coloro che hanno problemi e che non hanno posto nelle Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza)”. La missiva, indirizzata a VareseNews, racconta l’esperienza nella casa-lavoro di Castelfranco Emilia, in provincia di Modena. Il 49enne nel 1998 sterminò a fucilate tutta la famiglia (padre, madre e fratello) in quella che venne soprannominata la “strage dei fornai”. Per il triplice omicidio fu condannato prima all’ergastolo, pena poi ridotta in appello a 30 anni. Grazie ai vari benefici ne ha trascorsi in cella 26. Del Grande è destinatario di una misura di sicurezza e dovrebbe trascorrere sei mesi nella struttura, fino ad una nuova valutazione, ma è fuggito il primo novembre.“Il disagio che ho visto lì dentro credo di non averlo mai conosciuto”, scrive Del Grande. E racconta: “Gli psicofarmaci vengono dati in dosi massicce a chiunque senza problemi. L’attività lavorativa esistente è identica a quella dei regimi carcerari. Le case di lavoro oggi sono delle carceri effettive in piena regola con sbarre cancelli e polizia penitenziaria, orari cadenzati, regole e doveri”, racconta Del Grande. “Con la piccola differenza che chi è sottoposto alla casa di lavoro non è un detenuto, bensì un internato, ovvero né detenuto né libero, nessuna liberazione anticipata, nessun rapporto disciplinare, ma solo proroghe da sei mesi in su che servirebbero, in teoria e non in pratica, a riabituare il sottoposto a misura di sicurezza al tessuto sociale esterno contenendolo e dandogli opportunità lavorativa, quest’ultima attualmente è negata se non solo con turnazioni identiche a quelle carcerarie”.A considerazioni generali alterna confidenze personali, in una lettera che sembra anche una denuncia. Raccontando il periodo trascorso in libertà dopo la scarcerazione di luglio 2023, ricorda: “Avevo ripreso in mano la mia vita, ottenendo con sacrificio un ottimo lavoro, dando tutto me stesso in quel lavoro che oggi mi hanno fatto perdere senza il minimo scrupolo, mi riferisco alla magistratura di sorveglianza, avevo ritrovato una compagna un equilibrio i pranzi le cene il pagare le bollette le regole della società, tutto questo svanito nel nulla per la decisione di un magistrato di sorveglianza, che mi ha nuovamente rinchiuso facendomi fare almeno mille passi indietro”. Del Grande, spiega, si è ritrovato così in “una realtà repressiva” che considera persino peggiore di quella del carcere: “Ci sono persone all’interno che sono entrate per sei mesi e avendo l’unica colpa di non avere una dimora e una famiglia, si trovano internate da 4/5 anni, in un Paese civile e al passo con le regole europee questo non dovrebbe più esistere, difatti l’Italia è l’unico paese in tutta Europa che adotta le misure di sicurezza”.Tra le parole del 49enne, anche alcune considerazioni sulla sua storia processuale: “Ci tengo a precisare che io da questo paese sono stato condannato ad anni 30 di reclusione, effettivamente ne ho scontati 26 e 4 mesi e non sono stato più condannato, e invece grazie a questo articolo di legge risalente a Mussolini ancora in essere dal nostro codice penale mi sono ritrovato nuovamente peggio di un detenuto”. Una decisione che, spiega ancora l’uomo, gli ha fatto “crollare il mondo addosso”. “Tutte le cronache mi definiscono come il serial killer, il pazzo assassino che è sfuggito senza la minima remora e controllo, additandomi di tutte le cose del passato senza informarsi prima su cosa ho fatto da quando ero stato scarcerato”.L'articolo “Trattato peggio di un detenuto, ecco perché sono scappato”: la lettera di Elia Del Grande dopo la fuga proviene da Il Fatto Quotidiano.