Siamo stati al live di Johnny Marr al Fabrique di Milano: tra una richiesta imprevista (‘suonaci Wonderwall’) e i classici degli Smiths, il ‘mago’ ha incantato il pubblico

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Johnny Marr, all’alba dei 62 anni, ha riscoperto una sua chiave erotica. Da quando con Morrisey è finita, il chitarrista di Manchester ha avuto l’occasione, nell’ultima fase della sua carriera, di sviluppare un modo personale di stare sul palco, di essere frontman. La verità è che Morrisey e Johnny Marr (con Andy Rourke e Mike Joyce) hanno fatto la storia della musica britannica degli anni ’80 e ’90 forgiando un suono unico con gli Smiths e vedere uno senza l’altro un po’ addolora. Marr, però, da solo sul palco del Fabrique di Milano, per la prima data italiana del Look Out Live Tour (sarà all’Estragon di Bologna il 7 novembre), ci sta benissimo ed è visibilmente felice. Si diverte e intrattiene il pubblico, e non teme ad ammiccare prepotentemente a qualche fan in platea durante uno dei suoi assoli ipnotici.Il concerto inizia con “Generate!Generate!”, dall’album solista “The Messenger” del 2013. Live rende molto più che in cuffia, è un ritorno al sound degli Smiths in The Meat is Murder del 1984, il secondo progetto della discografia della band che di fatto ha inventato un genere. Quello delle canzoni ‘happy’ ma con liriche struggenti. E’ anche uno dei motivi per cui i 4 di Manchester sono amatissimi dalla Gen Z, anche se dall’età media del pubblico al Fabrique non si direbbe. Sui social, invece, non si contano i riferimenti al mood coniato dagli Smiths, che è senza tempo. Questa combinazione unica e atipica proviene da generi diversi come la New Wave di inizio anni ’80, Joy Division su tutti come ispirazione di scrittura per Morrisey, ma anche dal folk britannico per le parti di chitarra di Johnny Marr e dal rock’n roll di Keith Richards, da cui han detto di aver imparato l’intersezione di ritmica e solistica. L’unione dei due elementi, assieme a una forte quota ‘charme’ ha reso la band anche icona di stile.Dopo l’esordio il live scorre liscio e anche le canzoni soliste hanno il loro perché. Inutile dire però, che ad un concerto del genere ci si va per farsi teletrasportare agli anni che furono. E, anche se può sembrare ripetitivo, lo stile di Marr non stanca mai. Non esistono molti altri chitarristi che sono riusciti a cristallizzare e mettere a fuoco una tecnica come la sua. Lo strumento è la Fender Jaguar (ne ha usate tre, nero, blue navy e rosa metallizzato), e quello che ne esce è quasi sempre la stessa cosa. Un arpeggio, col capoverso messo al secondo o al terzo tasto, pollice sull’ultima corda e via. Ogni volta che esegue quel ‘trademark’ però ti chiedi sempre come faccia a riprodurre una dinamica così coinvolgente e personalizzata. Se tra i chitarristi viene chiamato “The Wizard” (il mago), un motivo pure ci sarà.C’è da dire che Marr ha abituato al ritmo anche i suoi fan. Quando c’è da applaudire a tempo sono tutti perfetti. A metà concerto il cantautore chiede al pubblico (non c’è il tutto esaurito e questo rende l’atmosfera molto intima) se avesse delle richieste. “Play Wonderwall”, si sente ma Marr glissa subito, “Non la so suonare”. Con il sorriso il “Mago” declina l’offerta, forse perché non ne ha voglia in questo momento storico così delicato per la sua (ex) band: si parla infatti di cessione multimilionaria del catalogo Smiths, di paragoni con gli Oasis, l’altra sponda del rock made in Manchester, che si sono recentemente riuniti dopo anni di liti. E Johnny Marr, che è molto amico di Noel Gallagher, non ne vuole sapere di fare pace con Morrisey.L’imbarazzo della richiesta viene subito levato dall’esecuzione di “This Charming Man“, forse il pezzo più famoso degli Smiths. La voce di Morrisey è inimitabile, ma è anche vero che Marr ha trovato un suo modo di dialogare col microfono, di interagire con l’asta. Arriva il momento acustico, con Please Please Please Let Me Get What i Want, in cui sorge il dubbio se effettivamente Marr abbia mai sbagliato una nota in vita sua. Chiuso il momento chitarra e voce ci si avvia verso la parte finale del live con le immancabili “Bigmouth Strikes Again”, “Stop me if you think you’ve heard this one before” e “There Is a Light That Never Goes Out”.Prima però c’è spazio anche per una cover (skippabile) di “The Passenger” di Iggy Pop e per “How Soon Is Now”, forse il pezzo che risuona più attuale. L’intro di slide guitar crea angoscia e sospetto, un monito che fa dubitare sulla reale funzione del tempo. Un pericolo latente, un po’ come lo struzzo nelle tele dell’artista italiano Angelo Accardi, un po’ come la concezione baumaniana di modernità. Se il concetto di paura liquida spiegato da Bauman avesse un suono, probabilmente sarebbe quello delle prime note di questa canzone.A fine concerto si continua a parlare di arpeggi, dinamiche, tonalità, chiavi di sol la minore eccetera. Johnny Marr ha educato i suoi fan a un gusto delicato e raffinato, dove il rumore non supera mai la pulizia tecnica, la gentilezza e l’importanza di ogni singola nota suonata.L'articolo Siamo stati al live di Johnny Marr al Fabrique di Milano: tra una richiesta imprevista (‘suonaci Wonderwall’) e i classici degli Smiths, il ‘mago’ ha incantato il pubblico proviene da Il Fatto Quotidiano.