Cosa cerca davvero la Cina nel Golfo. Fulton spiega la strategia di Pechino

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A partire dal lancio della Belt and Road Initiative nel 2013, la capacità della Cina di rafforzare la sua influenza politica nei Paesi del Golfo ha generato molto dibattito e grandi aspettative. Prima di allora, la presenza di Pechino nella regione era stata considerata quasi unicamente nella cornice di una relazione transazionale legata alle risorse energetiche delle monarchie arabe.Secondo Jonathan Fulton, professore associato alla Zayed University, nonresident senior fellow presso il Middle East Program dell’Atlantic Council, esiste un errore ricorrente nel modo in cui si guarda alla presenza cinese nel Golfo. L’indiscutibile aumento degli investimenti cinesi nella regione viene spesso ingigantito e, soprattutto, interpretato come specchio del declino della presenza statunitense.Lo studioso è stato ospite dell’ultima edizione dei ChinaMed seminars. Frutto di un’iniziativa del ChinaMed Project del Torino World Affairs Institute in partnership con l’Università di Napoli L’Orientale, i ChinaMed seminars prevedono una serie di appuntamenti online e aperti al pubblico in cui è possibile dialogare con esperti sul ruolo della Cina nella regione mediterranea. Fulton, tra i massimi esperti della politica cinese in Medio Oriente, ha recentemente pubblicato il libro Building the Belt and Road Initiative in the Arab World, edito da Routledge.Stando alla narrazione con cui vengono descritte le dinamiche cinesi nel Golfo, la regione sarebbe estremamente importante per la Cina, la quale punterebbe ad ottenere un ruolo egemonico. Al contrario, Fulton invita ad “un cambio di prospettiva: la presenza cinese andrebbe piuttosto analizzata alla luce dell’agenda che la guida, la quale si inserisce all’interno di una più ampia strategia funzionale alla tutela degli interessi di Pechino”.In linea con quanto sostenuto da Andrew J. Nathan e Andrew Scobell, Fulton ha evidenziato che il Medioriente, l’Africa e le Americhe “costituiscono solo l’ultima priorità della Cina ai fini della sua sicurezza nazionale”. Al centro delle preoccupazioni di Pechino c’è l’economia politica nazionale, la quale presenta al suo interno numerose sfide: tra le altre, la necessità di convertire l’attuale economia orientata all’export ad un’economia basata sui consumi, le disuguaglianze territoriali e gli alti livelli di disoccupazione giovanile. La gestione securitaria dei confini, poi, si presenta piuttosto complessa, sia per quanto riguarda i confini terrestri che per quelli marittimi, dove Pechino si confronta con Paesi nell’orbita statunitense quali la Corea del Sud e il Giappone. Inoltre, la Cina deve occuparsi dei complessi contesti regionali che la circondano: il Sud-Est e il Nord-Est Asiatico, l’Asia Centrale e l’Asia Meridionale. Alla base di questa lettura vi è una critica al modello multipolare, secondo il quale gli equilibri dell’ordine globale sarebbero determinati da un gruppo di potenze in competizione tra loro. Come sostenuto anche da Fulton, il nuovo ordine mondiale apparirebbe piuttosto come “un mondo di regioni” al cui interno sono presenti potenze rivali e interessi in competizione.È in quest’ottica, quindi, che l’esperto invita ad analizzare il ruolo della Cina nella regione del Golfo. Qui l’impegno cinese appare primariamente economico, con una particolare attenzione a favorire le opportunità di investimento e a cooperare nella sfera tecnologica e nell’energia. Secondo Fulton, nel settore della transizione energetica la Cina potrà ampliare il suo margine d’azione dato lo spazio vuoto lasciato dagli Stati Uniti, che stanno sostanzialmente disinvestendo nell’ambito della produzione di energia rinnovabile. Inoltre, la progressiva diminuzione delle importazioni di petrolio da parte della Cina e l’aumento del supporto alla transizione energetica del Golfo rafforzerà lo squilibrio commerciale tra le due economie, che già attualmente favorisce la Cina. Tuttavia, va sottolineato che le opportunità di investimento nel Golfo non attirano chiaramente solo Washington e Pechino, ma anche diverse potenze asiatiche regionali come il Giappone o l’India, molto attivo nel settore del tech e della logistica, e diversi aziende europee e del Regno Unito, che sono molto presenti nel settore delle rinnovabili.Per quanto riguarda il ruolo securitario della Cina nella regione, è a partire dal lancio della Belt and Road Initiative nel 2013 che Pechino ha cercato di presentarsi come un attore rilevante sul piano diplomatico. Tuttavia, è soprattutto dal dicembre 2022 che questa narrativa ha generato particolare entusiamo: l’accordo per il ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra l’Arabia Saudita e l’Iran mediato dalla Cina, l’espansione della Shangai Cooperation Organization, la visita del leader palestinese Mahmoud Abbas a Pechino nel 2023 sono eventi che hanno contribuito ad amplificare la percezione della Cina come un attore politico rilevante nel mondo arabo.Tali speranze, però, si sono ridimensionate dopo il 7 ottobre 2023: Fulton fa notare che la risposta della Cina all’attacco di Hamas e alla conseguente aggressione israeliana è stata “non solo modesta, ma orientata al disimpegno”. Anche nel caso dell’Iran, la partnership tra Teheran e Pechino si è rivelata spesso debole alla prova dei fatti, dal momento che la Cina non sembra determinata a supportare concretamente l’impegno bellico della Repubblica Islamica. Infine, Fulton sostiene che la lettura di “un maggiore coinvolgimento politico cinese a fronte di un progressivo disimpegno americano presenta diverse falle”: nonostante sia innegabile che gli Stati Uniti stiano ricalibrando la loro presenza nell’area, diversi eventi, a partire dal nuovo accordo di cooperazione securitaria con il Qatar delle scorse settimane, e qualcosa di simile che gli Usa stanno cucinando con l’Arabia Saudita, sembrano dimostrare che questa regione rappresenta ancora un interesse vitale per Washington.Dall’analisi di Fulton, la reticenza di Pechino ad allargare la sua azione diplomatica all’ambito securitario emerge come il principale limite della cooperazione tra Pechino e le monarchie del Golfo. Sul piano economico, invece, la rilevanza della Cina sembra destinata a crescere. Tale rilevanza, però, non deve oscurare il ruolo delle nazioni europee o di altre potenze asiatiche come l’India e il Giappone nella regione.