La sciatrice Kimont, la carrozzina e il cuore di Cortina nel 1956

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In vista delle ormai prossime Olimpiadi e Paralimpiadi Milano – Cortina 2026 desidero raccontare la singolare partecipazione della sciatrice americana Jill Kimont ai Giochi Olimpici di Cortina 1956. Una vicenda di cui ero completamente ignara, che ho conosciuto, leggendo il libro “Le donne di Cortina 1956”, pubblicato nei giorni scorsi da Minerva, scritto a quattro mani da Adriana Balzarini con Antonella Stelitano, due ricercatrici storiche da sempre impegnate su argomenti legati alla partecipazione e alla emancipazione femminile attraverso lo sport. Una singolare storia che a distanza di 70 anni potrebbe insegnare molto.Nel 1955, Jill Kimont, allora ventenne, era una delle atlete più promettenti della squadra americana di sci per le Olimpiadi che si sarebbero disputate l’anno successivo a Cortina; inoltre, era molto bella, alta con i capelli lunghi e biondi, secondo i canoni della bellezza di quei tempi. Possedeva, quindi, le caratteristiche per un futuro brillante davanti a sé, ma, come spesso succede, la sorte gioca brutti scherzi: durante lo slalom gigante a Alta (Utah) subì un brutto infortunio, in seguito al quale rimase in sedia a rotelle, paralizzata dalle spalle in giù. Non è difficile immaginare la sua disperazione per non poter gareggiare ai Giochi Olimpici l’anno seguente.Per cercare di lenire il grande dolore della sciatrice, fu messo in moto un straordinario “deus ex machina” di amicizia e di solidarietà, grazie al quale la Kimont potette assistere a tutte le gare, dalla cerimonia di apertura a quella di chiusura, accompagnata dalla mamma. In primis, ci fu il grande supporto dell’ambasciata italiana di New York. Fu promossa una raccolta fondi per l’acquisto dei biglietti aerei New York – Amburgo. Una volta atterrata, un’azienda automobilistica le mise a disposizione un’auto accessoriata, dove poteva caricare a bordo la carrozzina, senza alcun problema. A Cortina, mamma e figlia furono ospitate nello stesso hotel in cui alloggiava Sofia Loren, dove fu data un’ampia stanza vicina all’ascensore; si narra addirittura che un giorno in cui non funzionava l’ascensore a causa di un black out, la Kimont è stata portata dalla sua camera al piano terra in braccio da alcuni ragazzi, per non farle perdere le gare in programma in quella giornata. Grazie un permesso speciale poté girare liberamente in tutti gli spazi dei Giochi con la sua carrozzina.La storia raccontata, pertanto, può essere considerata, anche se a distanza di 70 anni fa, un grande esempio di amicizia e di solidarietà nei confronti dell’atleta da parte di moltissime persone, anche se non la conoscevano direttamente. Viene da chiedersi, se al giorno d’oggi, in una società individualista e egoista sarebbe potuto accadere una vicenda così “intrinseca” di umanità.Grazie alle scrittrici per averci raccontato questa splendida storia di solidarietà in una Cortina che per prima in Italia ha ospitato i Giochi invernali e la rivede oggi pronta ad accogliere i XXV Giochi invernali