Lo sappiamo state correndo a vedere Buen Camino di Zalone, ma La piccola Amélie è un soffio di Giappone magico

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Per rimpolpare il genere fertile “Giappone magico e affascinante”, che ha dilagato con ipnotica raffinatezza nel cinema e nella letteratura recente, dal primo gennaio 2026 esce in sala il film d’animazione La piccola Amélie dei registi francesi Mailys Vallade e Liane Cho-Han.Lo sappiamo, state correndo a vedere Buen Camino e, se è tutto pieno, forse, Avatar 3, ma sarebbe bello osservare un po’ di fila e di biglietti strappati per questo bildungsroman, con protagonista un’imbronciata bimba di tre anni, ambientato nel Giappone del 1968. Quelli che stanno correndo da Zalone dopo la rapidissima sinossi avranno già subito un infarto, ma La piccola Amélie è un racconto talmente semplice e diretto che non richiede alcuna sofisticata elaborazione intellettuale.Siamo dalle parti di un soffio magico miyazakiano contaminato da un garbato e ordinato sguardo europeo (il film è tratto dal romanzo biografico di Amélie Nothomb, Metafisica dei tubi), fuso attorno al concetto che la protagonista duenne – verso il compimento dei tre – Amélie esprime con innocente infantile realismo a fondo film coronando la sua costante graziosa presenza di voce narrante: “A tre anni si nota tutto e non si capisce niente”.Non c’è soggettiva formale, ma Vallade e Liane-Cho Han entrano con accurato e giocoso rispetto nella vita e nella traiettoria di sguardo di questa bimba “legume”, terza figlia di una coppia di belgi che vive nella tipica minka, tutta verande, porte scorrevoli e legno a ridosso di un’area naturale. Bimba che inizia a parlare – come vuole lei – soltanto verso i tre anni grazie a una tavoletta di cioccolata bianca belga offerta dalla nonna.Nell’apparente semplificazione di un’animazione 2D, con fondali impressionisti e variopinti, e dove ai bimbi si calca a dismisura l’allargata forma degli occhi, il mondo (pardon) di Amélie pare deformato nei colori e nelle sagome, la materia naturale si trasforma di continuo e talvolta persino si mostrifica. Centenarie carpe quasi parlottano, così come le gocce di pioggia sembrano animarsi come piccoli esserini voraci nel cadere velocemente a terra.Alla piccola Amélie glielo spiega la sua tata Nishio-san, dolce complice dei suoi primi passi, parole e scoperte umane e non (la paura animalesca dell’aspirapolvere, ad esempio): Amé in caratteri giapponesi significa “pioggia”. E di pioggia nel film ce n’è tanta, anche quando l’allegra combriccola familiare, babbo e mamma delicati e persino fragili, fratellino dispettoso e sorella leziosa, si trovano tra le rocce al mare a prendere il sole e Amélie scivola in acqua in un apparente climax che si fa invece anticlimax immerso nella fabula sospesa dei fondali marittimi.Tutto materialmente sembra andarsene, ma tutto magicamente nel ricordo continuerà ad esistere. Mettiamoci pure qualche sfuggente anima di morti cari e antenati locali, ma il racconto di formazione rifulge intonso, affascinante, commovente, come se si rivolgesse per 71 risucchianti minuti a un puer (eternamente) aeternus. Distribuisce LuckyRed.L'articolo Lo sappiamo state correndo a vedere Buen Camino di Zalone, ma La piccola Amélie è un soffio di Giappone magico proviene da Il Fatto Quotidiano.