di Giuseppe Gagliano – La firma a Nicosia di un piano d’azione militare congiunto tra Israele, Grecia e Cipro non è un atto tecnico né una semplice cornice addestrativa. È il segnale politico di un riassetto nel Mediterraneo orientale, dove la sicurezza torna a essere costruita per alleanze selettive e per deterrenze mirate. L’intesa prevede addestramento di forze speciali, cooperazione su droni e guerra elettronica, esercitazioni integrate terra-mare-aria e condivisione di capacità avanzate, a partire dall’esperienza israeliana nella difesa anti-droni e nei sistemi laser.Sul piano operativo l’accordo accelera l’interoperabilità. Atene consolida il salto qualitativo delle proprie forze, già impegnate in un ampio programma di ammodernamento, mentre Tel Aviv estende il proprio raggio di cooperazione in un’area cruciale per le linee aeree e navali. Le esercitazioni aeree Iniochos e quelle navali congiunte non sono routine: servono a testare allerta precoce, rifornimenti in volo e capacità di comando e controllo in uno spazio sempre più conteso. L’ipotesi di acquisizioni greche di sistemi israeliani, ovvero difesa aerea, anti-droni, missili a lungo raggio, rafforza una deterrenza regionale pensata per dissuadere, non per provocare.Il bersaglio politico è chiaro: la Turchia. Le parole del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu contro le ambizioni di Ankara non sono retorica. Preoccupa l’espansione dell’influenza turca in Siria e l’eventuale dispiegamento di radar che limiterebbero la libertà d’azione aerea israeliana. In parallelo, Tel Aviv respinge un ruolo turco nella stabilizzazione di Gaza, mentre Washington oscilla: il presidente Donald Trump mantiene canali privilegiati con Recep Tayyip Erdogan, indispensabile nella gestione del dossier siriano.L’asse Israele-Grecia-Cipro mira a creare un equilibrio di potenza, non un blocco rigido. È un messaggio di contenimento: impedire che un singolo attore definisca le regole del gioco su rotte, spazi aerei ed energia. Non a caso l’intesa nasce dopo un vertice politico tripartito che ha riallineato priorità e tempi, in vista di interlocuzioni decisive con Washington.Cipro è l’anello più delicato. La crescita della presenza economica e residenziale israeliana nel sud dell’isola alimenta timori di trascinamento in crisi regionali e produce frizioni sociali. A nord, sotto amministrazione turco-cipriota, si diffonde il sospetto che l’isola venga narrata come retrovia di minacce per giustificare pressioni future. È la prova che sicurezza e geoeconomia si sovrappongono: investimenti, comunità, basi e addestramenti diventano fattori di percezione strategica.Nel Mediterraneo orientale la stabilità passa per coalizioni funzionali, capaci di cooperare senza chiudere le porte alla diplomazia. L’accordo di Nicosia rafforza la deterrenza, segnala limiti alle ambizioni altrui e tenta di riequilibrare un teatro dove Siria e Gaza restano detonatori. La partita vera, però, si giocherà sul rapporto tra Tel Aviv e Washington: finché gli Stati Uniti manterranno una linea ambigua verso Ankara, ogni asse regionale resterà forte sul piano militare ma incompleto su quello politico.