Una nuova geografia commerciale. L’eredita dei dazi secondo McKinsey

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Dall’anno dei dazi al secolo dei dazi, il passo è breve. Da quando Donald Trump ha inaugurato la stagione delle tensioni commerciali, per riequilibrare la bilancia americana, il mondo ha dovuto adattarsi in fretta a una nuova normalità, non ancora del tutto digerita. Con una Cina molto vicina a una crisi economia e un po’ esistenziale, figlia dei suoi stessi e atavici problemi e per questo estremamente aggressiva all’esterno, i dazi rappresentano ancora un vaccino istituzionalmente accettato. Il commercio, tuttavia, sta cercando di prendere le misure, nell’attesa che vengano stabiliti i nuovi equilibri globali.Una nuova geografia commercialeUna prova la fornisce un nuovo report di McKinsey&Company che analizza l’impatto dei dazi e dei nuovi accordi commerciali sull’attività economica globale. Ebbene, fino a un terzo del commercio globale, per un valore di 14 mila miliardi di dollari, potrebbe spostarsi verso nuove rotte nel corso dei prossimi dieci anni. Anche se dazi e restrizioni commerciali continuano a proliferare, si moltiplicano parallelamente gli accordi commerciali regionali e bilaterali formali volti a ridurre le barriere al commercio internazionale.Questi accordi, spiega McKinsey, stanno attenuando l’impatto dei recenti dazi statunitensi, che sono passati da una tariffa media ponderata di circa il 2% nel 2024 al 15,4% a metà novembre 2025. Alcuni corridoi commerciali (ad esempio tra Vietnam e Stati Uniti) si stanno rafforzando, mentre altri (come quello tra Cina e Stati Uniti) si stanno indebolendo, man mano che i Paesi e le imprese reagiscono a nuove dinamiche geopolitiche e a diversi incentivi economici.Ora, la maggior parte degli accordi commerciali moderni si fonda su sei pilastri, caratterizzati da regole chiare, un’implementazione graduale e impegni vincolanti, spiega McKinsey. Secondo il report, tra gennaio 2017 e maggio 2025 il numero di accordi commerciali regionali è aumentato del 30%, con un incremento di cinque volte rispetto al 2000. Gli accordi commerciali bilaterali crescono a un ritmo annuo superiore di tre punti percentuali rispetto al periodo pre-2000, attestandosi al 7% annuo.Un istinto di sopravvivenzaLe imprese globali, pur di sopravvivere, devono quindi districarsi in mezzo al proliferare di accordi, ciascuno dei quali comporta specifiche sfide di interpretazione e attuazione, dovute a differenze di traduzione, a requisiti divergenti in materia di sicurezza, standard tecnici ed etichettatura per le esportazioni, nonché a regimi distinti di risoluzione delle controversie e di enforcement. Le imprese devono anche adattarsi ai cambiamenti nei corridoi commerciali, che l’integrazione regionale del commercio contribuirà ad accelerare.Per esempio il Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership, l’accordo di libero scambio tra 11 Paesi del Pacifico (Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam) che mira a ridurre o eliminare tariffe doganali e barriere commerciali, rappresenta oggi 15.800 miliardi di dollari di Pil, pari al 14,4% del totale globale, e un numero crescente di Paesi, tra cui la Cina, ha presentato domanda di adesione al blocco.