Iraq. Il Parlamento riparte tra equilibri settari e pressioni regionali

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di Giuseppe Gagliano – La prima seduta del nuovo Parlamento iracheno ha prodotto un risultato politicamente rilevante: l’elezione di Haybat al-Halbousi alla presidenza del Consiglio dei rappresentanti. Un passaggio tutt’altro che formale, perché segna l’avvio concreto del processo di formazione del governo dopo mesi di incertezza seguiti alle elezioni di novembre. Il voto, ampio e netto, restituisce l’immagine di un accordo preliminare tra i principali blocchi, ma non scioglie i nodi che contano davvero.L’Iraq continua a muoversi dentro l’architettura della muhasasa, il sistema di ripartizione settaria del potere introdotto dopo il 2003. In questo schema, la presidenza del Parlamento spetta a un sunnita, quella della Repubblica a un curdo, mentre la guida del governo è riservata allo schieramento sciita più forte. Un equilibrio che garantisce rappresentanza, ma che cristallizza i rapporti di forza e rallenta ogni transizione. L’elezione dello speaker è quindi solo il primo tassello di una sequenza obbligata, destinata a riaprire tutte le tensioni irrisolte.Il vero baricentro della partita resta il Quadro di coordinamento sciita. Qui si concentra il dilemma strategico: confermare Mohammed Shia al-Sudani oppure puntare su un nuovo candidato. Al-Sudani ha provato a smarcarsi presentandosi con una lista autonoma e ottenendo un risultato significativo, segnale di una crescente domanda di leadership meno vincolata alle vecchie alleanze. Ma dentro il fronte sciita pesa l’avanzata di forze legate a gruppi armati filo-iraniani, oggi molto più presenti in Parlamento rispetto al passato. Un fattore che irrigidisce il quadro e rende ogni scelta potenzialmente divisiva.L’aumento del numero di deputati riconducibili a formazioni armate sotto sanzioni statunitensi cambia la natura stessa del Parlamento. Non si tratta solo di pluralismo politico, ma di una sovrapposizione tra potere istituzionale e capacità militare. È un dato che limita la sovranità effettiva dello Stato e condiziona le relazioni con l’Occidente, alimentando la percezione di un Iraq sempre più esposto alle dinamiche di confronto tra potenze regionali.In questo contesto fragile, il governo uscente tenta di ritagliarsi un ruolo diplomatico. Baghdad prova a proporsi come canale di dialogo tra Iran e Stati Uniti, sfruttando la propria posizione di cerniera. L’idea di facilitare un incontro diretto nasce dalla consapevolezza che l’escalation militare e la sfiducia reciproca rischiano di travolgere anche l’Iraq. Ma la credibilità di questa mediazione resta fragile, perché dipende da un equilibrio interno che è tutt’altro che consolidato.Le tensioni legate al programma nucleare iraniano fanno da sfondo a ogni mossa. Gli attacchi contro siti sensibili e il fallimento dei negoziati hanno rafforzato a Teheran l’idea che non esistano garanzie reali da parte occidentale. Per Baghdad, questo significa muoversi su un filo sottilissimo: mantenere rapporti funzionali con Washington senza incrinare quelli con l’Iran, che resta un attore decisivo sul piano politico, economico e di sicurezza.L’elezione del presidente del Parlamento offre l’immagine di un ritorno alla normalità istituzionale. In realtà, la stabilità resta condizionata da tre fattori strutturali: il peso delle milizie, la competizione tra potenze regionali e l’irrisolto problema della sovranità decisionale. Il processo di formazione del governo dirà se l’Iraq riuscirà a trasformare questo passaggio procedurale in un vero riassestamento politico o se, ancora una volta, la muhasasa produrrà un equilibrio di breve respiro, destinato a reggere finché le tensioni restano sotto traccia.