di Giuseppe Gagliano – Il presidente Donald Trump ha sostenuto che gli Stati Uniti avrebbero distrutto uno stabilimento di produzione di droga in Venezuela, parlando di un’esplosione nell’area dei moli da cui partirebbero le spedizioni via mare. L’affermazione, rilanciata dai media americani, non è stata però confermata né dal Pentagono né dalla Central Intelligence Agency. L’assenza di riscontri ufficiali e indipendenti lascia l’episodio sospeso tra dimostrazione di forza e operazione coperta.Negli ultimi mesi Washington ha intensificato la presenza navale nei Caraibi, con operazioni contro imbarcazioni ritenute legate al traffico di droga. Il dispositivo, imperniato su una grande portaerei, segnala un cambio di scala: non più solo contrasto marittimo, ma capacità di colpire anche infrastrutture a terra. In questo quadro, l’ipotesi di un’azione diretta sul territorio venezuelano rappresenterebbe un salto qualitativo, sia sul piano operativo sia su quello del messaggio politico.Dal punto di vista militare, l’ambiguità è parte della strategia. Non chiarire se l’azione sia stata condotta da forze regolari, unità speciali o canali clandestini consente a Washington di mantenere la pressione senza assumere pienamente i costi politici di un’operazione dichiarata. La designazione del cosiddetto Cartello dei Soli come organizzazione terroristica amplia il perimetro legale d’intervento e abbassa la soglia dell’uso della forza, ma aumenta anche il rischio di incidenti e di escalation regionale. Parallelamente all’offensiva militare, gli Stati Uniti hanno rafforzato il blocco delle petroliere dirette da e verso il Venezuela, colpendo il cuore delle entrate di Caracas. Il sequestro e l’inseguimento di navi accusate di violare le sanzioni indicano che il vero terreno dello scontro resta l’energia. Ridurre le esportazioni significa comprimere la capacità dello Stato venezuelano di finanziare apparato pubblico e consenso interno, accelerando la pressione economica in vista di un possibile cambio politico.Sul piano geopolitico la retorica della guerra alla droga funge da cornice legittimante per una strategia di coercizione più ampia. Caracas denuncia che l’obiettivo reale sia il controllo delle risorse energetiche e la rimozione del governo chavista. Non a caso, l’intensificazione delle operazioni coincide con un rafforzamento della presenza statunitense nel bacino caraibico e con segnali diretti agli attori extra-regionali interessati al petrolio venezuelano.Il bilancio umano delle operazioni marittime, ovvero oltre cento morti secondo alcune stime, ha alimentato le critiche di giuristi e organizzazioni per i diritti umani, che parlano di possibili esecuzioni extragiudiziali. Sul fronte interno americano, Trump rivendica risultati clamorosi sul calo del traffico di droga senza fornire prove, puntando a consolidare consenso politico attraverso una narrazione di fermezza assoluta.L’annuncio sulla distruzione di uno stabilimento di droga in Venezuela, vero o presunto, va letto come parte di una strategia integrata che combina forza militare, strangolamento economico e pressione politica. Più che un episodio isolato, è il segnale di una fase in cui Washington testa i limiti dell’intervento indiretto, mantenendo volutamente opaca la linea che separa la lotta al narcotraffico da un confronto geopolitico aperto.