Una volta lo chiamavano King Kazu. Adesso è qualcosa di diverso, un uomo che sfida il tempo con la stessa cocciuta eleganza con cui si difende un amore antico. Kazuyoshi Miura entrerà nella sua 41esima stagione da calciatore professionista. Gli anni diventeranno 59 a febbraio. Avrà ancora una maglia da indossare, altri pullman da prendere, altre domeniche da aspettare.Ma forse stavolta non c’entra l’ostinata perseveranza con cui Valentino Rossi cercava il decimo titolo e l’eterna vendetta su Marc Marquez, stavolta non c’entra la paura del buio confessata da Francesco Totti dopo l’ultimo calcio a un pallone, e neppure il desiderio di LeBron James di essere raggiunto da suo figlio. Nel confine di Miura tra la gioia di giocare e l’incapacità di immaginarsi altrove c’entrano forse di più la cultura del Giappone e il concetto di ikigai, quello per cui vale la pena vivere la ragione profonda della nostra esistenza.L'idea di ritirarsi completamente a vita privata dopo una certa età è meno radicata che in Occidente. La dedizione al proprio mestiere, a una passione, ha un lungo termine o addirittura non ce l’ha. Gli anziani sono dei custodi eterni di saggezza e di maestria. Mantengono un ruolo nella comunità, si danno uno scopo che combatte la solitudine.Il campo di calcio è l’ikigai di Miura. La sua perseveranza è considerata con ammirazione, non con perplessità, perché gli anziani sono il centro morale del paese. Ma il calcio non perdona, misura i chilometri e i polmoni, misura la velocità con cui un’idea diventa un taglio o un autogol. Miura muove ancora la palla come una fiamma che non deve spegnersi. “La mia passione non cambia mai”, ha detto.Quel mai è la parola che fa nascere il dibattito. Da una parte c’è la tenerezza per chi non tradisce il bambino che è stato, dall’altra la sensazione che per restare speciali non bisogna diventare un monumento ambulante. La longevità nello sport pare essere diventata una forma superiore di narrazione. Se non duri non sei. C’è qualcosa di commovente in un corpo che non si arrende, ma c’è anche qualcosa di crudele. Perché ogni minuto in campo è una trattativa con il presente. Se è vero che la felicità è una fuga continua verso qualcosa, allora è giusto correre finché le gambe reggono, come fa Miura. Chi può biasimarlo. Anche senza l’ikigai, da noi è pieno di persone per le quali il passato non passa, e che non ne vogliono sapere di dare la palla a chi sta aspettando che arrivi il futuro.