L’indignazione tremenda per Gaza non è arrivata a Capodanno

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Non ce l’ha fatta. L’attenzione di massa, l’indignazione tremenda verso ciò che accade in Palestina, non è arrivata a Capodanno. E non per l’“accordo di pace” (rotto ogni giorno da Hamas e da Israele, che così si sostengono a vicenda), ma perché ci siamo stufati.Prima di parlare del come siamo passati dalla protesta per Gaza al “mo’ basta con Gaza”, qualche aggiornamento da Emergency. La Striscia registra oggi – non ieri, oggi – il tasso più alto di amputazioni infantili al mondo; giorni fa la tempesta Byron ha allagato i campi profughi; 1,6 milioni di persone (il 77% della popolazione) convive con alti livelli di insicurezza alimentare; l’accesso agli aiuti umanitari è ancora ostacolato da restrizioni israeliane, con un numero giornaliero di camion molto sotto i 600 concordati. E ovviamente sì, si spara ancora. Hamas e Israele hanno ripetutamente violato la tregua di cristallo – o di cartone? – e non hanno alcuna intenzione di concordare su cosa voglia dire la “fase 2” del piano.A logica, se ne dovrebbe parlare ancora. Per settimane ogni video sui social, ogni apertura di giornale, ogni salotto tv faceva riferimento alla Palestina. Ora per nulla o quasi per nulla: perché? Perché dobbiamo essere onesti con noi stessi: l’indignazione è spesso passatempo, sfogo social(e). E prendere posizione somiglia al tifare.Uccidere bambini, affamare un popolo, impedire la cura dei malati, scacciare le persone dalle case senza nemmeno la decenza di dire dove andare… non può esserci che una e una sola, convinta posizione: basta disumanità. Ma se la posizione è soltanto una come riempire le poltrone dei talk show? Come sfidarsi al commento più originale su Facebook? Il nostro bisogno di indignarci perfino dell’indignazione altrui, il nostro bisogno di prendere posizioni diverse perfino su una posizione che dovrebbe essere comune e grossa come una casa, hanno fatto sì che ci frammentassimo.Sui concetti, sui termini da potere o DOVERE utilizzare, sull’è colpa di questo no di quello, tra destra e sinistra. Le parole sono importanti, certo, ma non più importanti di chi crepa e continua a crepare.L’apice, probabilmente, lo abbiamo raggiunto a Reggio Emilia, quando il sindaco ha premiato Francesca Albanese. Durante la cerimonia, dopo aver detto che è genocidio, aver citato gli orrori, aver ribadito che il 7 ottobre non giustifica il massacro di Gaza, al sindaco è scappato un riferimento agli ostaggi israeliani tra le condizioni per una possibile pace. A me sembra non ci sia niente di male a dire che oltre a smetterla di sterminare un popolo si possa auspicare che degli ostaggi rapiti da terroristi tornino a casa. Ma anche se questo concetto fosse sbagliato, credo si possa avere il diritto a dirlo. E invece il pubblico, anzi i tifosi, sono insorti, tra fischi e “vergogna”.È dovuta intervenire lei, Albanese, a placare la folla col suo “sindaco io la perdono, però mi deve promettere che questa cosa non la dice più.” La liturgia purista di ciò che si può o non si può dire su Gaza è intervenuta per preservare se stessa. Un teatro strapieno in nome della libertà di un popolo ha negato a se stesso la libertà di dire.E così dopo guelfi e ghibellini, vax e novax, juventini e antijuventini, ci siamo inventati i pro-pal e gli anti pro-pal; come se si possa essere pro o contro la fine dei massacri. E alla lunga questa spaccatura intestina su Gaza è diventata per noi più importante di Gaza stessa.Siamo finiti a parlare di cosa tizio ha detto – o non detto! – su Gaza più che di Gaza stessa. Come tifosi, che giorni dopo la partita s’azzuffano se era o non era rigore. E se una partita di pallone alla fine ce l’ha un vincitore e uno sconfitto, la sfida del tifo resta inchiodata su posizioni di principio, categoriche, troppo spesso politiche e a priori.La Palestina non è sparita dai nostri monitor perché la gente ha smesso di morire ma perché ha smesso di importarci, sfiniti dalle solite dinamiche italiane. A un certo punto ci siamo detti che lì va così e c’è poco da fare. Ok basta, parliamo d’altro.Ma non temete, abbiamo trovato qualcos’altro su cui giocare all’indignato, su cui prendere posizione a prescindere dall’averci o meno capito qualcosa: una famiglia che vive nei boschi abruzzesi, che di colpo ha scalzato Gaza dai tg perché tutti, TUTTI, sappiamo cosa sarebbe più giusto fare dei suoi bambini. Dalla poltrona di casa da cui giudichiamo il mondo, abbiamo cambiato canale d’indignazione.In fondo se non vuoi vedere qualcosa basta guardare da un’altra parte.L'articolo L’indignazione tremenda per Gaza non è arrivata a Capodanno proviene da Il Fatto Quotidiano.