Una tesi ‘sbagliata’ e quell’incontro con Laura Betti: così, grazie a Pasolini, ho trovato la mia strada

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“Roma, 31 maggio 1999. Cara Silvia, scusa per il lunghissimo silenzio ma non sappiamo più dove sbattere la testa. Troppo lavoro, troppo caos, troppe ingerenze… Comunque ho potuto leggiucchiare i tuoi due primi capitoli e mi sembrano molto interessanti. In genere ci si addormenta al primo colpo. Dico ‘leggiucchiare’ tanto per sincerità. Non ho più tempo neppure per una valida concentrazione. Laura Betti”.Non credo potrò mai dimenticare l’emozione provata nell’aprire quella busta che proveniva dall’Associazione Fondo Pier Paolo Pasolini, che all’epoca aveva sede ancora in Piazza Cavour, a Roma. Ero una laureanda in Storia della Letteratura italiana moderna all’Università di Bologna, di lì a pochi mesi avrei dovuto discutere la tesi col professor Alberto Bertoni: “Mito biblico e miro greco-romano nell’opera di Pier Paolo Pasolini”. Quello che pensavo essere stato un ripiego (avevo letteralmente buttato un anno di tesi in un altro insegnamento del mio curriculum di Lettere classiche, delusa da chi avrebbe dovuto seguirmi e non l’aveva fatto) si era invece rivelato la strada giusta. La mia strada.Del resto, che fossi innamorata di Pasolini fin dai tempi del liceo non era una novità per nessuno: il mio amato professor Nicola Moretti, del liceo Socrate di Bari, mi aveva trasmesso una tale curiosità per la passione civile del poeta che io, adolescente incazzata col mondo, non avevo potuto far altro che lasciarmi trascinare dai Ragazzi di vita e dagli Scritti corsari. E così quella tesi mi aveva restituito una parte di me, mi aveva fatto far pace con l’Università e mi aveva mostrato che la mia strada non sarebbe stata l’archeologia, ma – in un modo che ancora non sapevo – la scrittura.Siccome nella mia vita spesso s’incastrano parallele impazzite, all’amore per le Lettere, negli anni successivi avevo unito quello per la Danza, che oltre tutto mi stava dando da mangiare. E così, quando al Teatro Comunale di Ferrara, nel 1999 arrivò il balletto di Virgilio Sieni tratto da “Il fiore delle mille e una notte” di Pasolini, la scelta fu obbligata: non potevo non andare. Soprattutto perché avevo saputo della presenza, in teatro, di Laura Betti, attrice (vincitrice della Coppa Volpi per “Teorema”), regista, cantante, ma soprattutto protagonista, col poeta, di un’amicizia infinita e struggente. Per me, che ormai avevo studiato Pasolini a memoria e che lo avevo inserito nel Pantheon degli spiriti guida – ancora oggi la sua foto mi guarda dal lato della scrivania –, era un’occasione da non perdere. E così mi feci in quattro per strappare un appuntamento con Betti e, incredibilmente, lo ottenni.Ricordo benissimo quel momento: la vidi in fondo a un corridoio. Era seduta su una sedia, ma aveva le gambe appoggiate su un’altra. Vestiva di viola, colore che in teatro è notoriamente vietato, e di qualche altra tonalità non sgargiante ma intensa. Mi pare fosse rosso, o addirittura verde, ma erano colori non che disturbavano ma che facevano smarrire gli occhi. Indossava anche un cappello.Mi sedetti accanto a lei facendomi piccola piccola, più di quanto non fossi già. L’emozione mi sovrastava: ero lì, accanto a una delle migliori amiche di Pier Paolo (concedetemi l’intimità, visto il momento), una persona che lo aveva vissuto, amato, ascoltato, baciato. Ero stordita. Sentirla parlare di lui come io avrei potuto parlare di mio fratello andava oltre ogni mia immaginazione. E io che ero arrivata lì col mio block notes per prendere appunti, pensando che mi sarebbero tornati utili per la tesi, non riuscii neanche ad aprire la penna. Le raccontai brevemente il lavoro che stavo facendo e lei mi suggerì di inviare la tesi al Fondo, che ogni anno assegnava un premio all’elaborato migliore. Poi parlò di sé e di lui e del rapporto che li legava. E ogni tanto faceva nomi di altri giganti della Letteratura come se parlasse degli amici del bar.Non sono in grado di dire, oggi, quanto tempo mi dedicò, e forse non avrei saputo dirlo neanche allora. Ne fui talmente rapita da perdere completamente la cognizione dell’orario. Sono le stesse, identiche emozioni che ho provato la prima volta – molti anni dopo – che ho intervistato Dacia Maraini. Mi rendo conto che sembra folle, ma l’idea di ascoltare un testimone diretto della vita del poeta ancora oggi mi provoca un capogiro.Ecco, io credo di dovere a Pasolini la mia scelta professionale e al suo pensiero il mio bisogno di comprensione del reale. Una volta, Enzo Siciliano (tanto per rimanere in tema “giganti”) mi disse che Pasolini non era un profeta, ma un uomo estremamente intelligente capace di guardare oltre. Oggi, più di allora, ce ne sarebbe bisogno.[In foto: Pasolini al centro al Premio Strega con Alberto Moravia e Laura Betti]L'articolo Una tesi ‘sbagliata’ e quell’incontro con Laura Betti: così, grazie a Pasolini, ho trovato la mia strada proviene da Il Fatto Quotidiano.