Ma cos’è davvero MArteLive? Se vivete dalle parti di Roma, o siete in qualche modo addetti ai lavori nella galassia della musica o anche solo semplici suoi simptizzanti, questa domanda prima o poi ve la siete fatta per forza. Magari ve la siete fatta già tempo fa, maturando il tempo per darvi sul campo una risposta appropriata; magari è rimasta lì sospesa, però di sicuro non è mai andata via, perché questa sigla viva e pulsa da oltre un ventennio, crea eventi, organizza concerti, genera contaminazioni, riappare ogni anno in forme mutevoli (ma con alcuni caposaldi), insomma, c’è, esiste, resiste, insiste. Il bello è che lo fa spesso con delle scelte qualitative vere: non quelle guidate dall’hype e dalle dinamiche di mercato ma quelle con un piglio che oggi si potrebbe descrivere in tutta onestà “d’altri tempi”, quando cioè ci si faceva guidare dalle ricerche e dai gusti dagli appassionati più entusiasti e disinteressati, non dal bigino dei roster delle grandi agenzie di booking. Oggi che viviamo il paradosso per cui abbiamo accesso facilmente a tutta la musica e tutta l’arte del mondo ma nonostante questo – o proprio per questo? – le nostre scelte di consumo (ad esempio, quali concerti andare a vedere) si sono standardizzate, MArteLive è un progetto assolutamente atipico. Non punta sui grandi nomi ma su quelli di culto (nel senso proprio letterale: quelli conosciuti ed amati più dai cultori), non ambisce a scalare l’industria andando sempre più in alto e nei salotti buoni ma vuole essere una piattaforma per tanti, tantissimi. Certo, per sopravvivere ha bisogno di trovare finanziamenti istituzionali, spesso e volentieri, ma non è che ora questo aspetto deve mettere in ombra tutto il lavoro fatto in 25 anni di esistenza. Ad esempio, proprio l’evento creato per celebrare i 25 anni di esistenza, Connect, svoltosi a metà ottobre a Roma, è esemplare: una line up dalla ricchezza quantitativa pantagruelica (10 palchi diversi), molti act che arrivano dai loro contest protagonisti, e tra gli headliner delle scelte illuminatissime e zero commerciali come i Plaid, Laura Agnusdei, Orange Combutta, Neoprimitivi, Pellegrino. Lo stesso vale per quanto è in arrivo questo weekend, il 31 ottobre e 1 novembre all’Angelo Mai, con Uragano Revue. Un evento pieno di gemme, for those who know, da Clap! Clap! al back to back di Hugo Sanchez e Bluemarina, dal live targato Veeble con Mondocane a MC Yallah e Debmaster.Insomma, una creatura articolata e molto interessante e particolare, MArteLive, che merita di essere raccontata. Forse oggi più che mai, visto i tempi che corrono, e le dinamiche che hanno preso piede – sì, quelle dinamiche che rendono MArteLive talmente anacronistica come attitudine e forma da essere molto più necessaria e fondamentale di qualche anno fa. Ne abbiamo parlato col direttore artistico storico e soprattutto fondatore, Giuseppe Casa. Quello che viene fuori è incredibilmente interessante, se si ha la pazienza di leggere.MArteLive è un oggetto strano: un festival, una rassegna, un concorso, una roba di musica ma non solo… Facciamo chiarezza: cos’è precisamente? Come si articola?MArteLive è la multidisciplinarietà per eccellenza: un’entità che esprime il suo massimo potenziale grazie a una vocazione trasversale che ritorna nei vari progetti che le ruotano attorno. Partiamo dall’inizio. Quando penso a MArteLive lo immagino come un organismo in divenire, non un’etichetta fissa. È nato come format di un progetto culturale che consisteva in una “serata” ai tempi dell’Università Roma Tre, quando organizzavo tante cose ma nessuna degna di lasciare un segno, di creare impatto. Poi la preparazione per l’esame di “Economia delle attività e dei beni culturali” mi ha illuminato: mi sono fermato per creare qualcosa di veramente valido e duraturo (25 anni: missione compiuta, direi), anche grazie all’aiuto di un gruppo di amici. L’intuizione iniziale è stata capire che le persone avevano bisogno di varietà: vivere, all’interno di una serata, spazi diversi in grado di nutrire stati d’animo diversi. Da qui nasce l’idea di mettere insieme musica, teatro, arti visive, fotografia, cinema, nuovo circo, danza — discipline che fino ad allora vivevano ognuna nel proprio “ghetto”. Io volevo invece che stessero nello stesso spazio, nello stesso momento; che si incontrassero e si contaminassero e che il pubblico godesse di questa varietà. Poi è diventato concorso, perché avvertivo un’urgenza: scoprire nuovi talenti, nuove voci, performer e artisti che non avevano ancora visibilità, e “accenderli” davanti al pubblico. Ecco: concorso + palcoscenico condiviso, tutto in contemporanea, in spazi diversi, simultaneamente accesi, senza pause + festival = MArteLive. Oggi si articola così: c’è il Concorso per emergenti in 16 discipline artistiche (musica, teatro, danza, arti visive, cinema, letteratura, ecc.); c’è il Festival vero e proprio con guest di chiara fama — performance live, installazioni, momenti espositivi — che ogni due anni diventa Biennale MArteLive; e c’è la dimensione di sistema culturale, il MArteLive System: rete di associazioni, rete di artisti, relazioni e collaborazioni internazionali. In pratica: non è solo arti performative, non è solo arti visive, non è solo concorso; è un contenitore che li raccoglie tutti, li mette in dialogo e li fa crescere insieme. E non in un solo spazio, ma in più spazi diffusi. Anche se oggi i festival diffusi sono frequenti, 25 anni fa non lo erano.All’interno della storia e dell’identità di MArteLive, come si colloca il weekend a nome Connect, andato in scena a Roma a metà ottobre? Col senno di poi, quali sono state le esibizioni più riuscite?Il weekend MArteLive Connect a Roma è stato una festa viva e in movimento dei primi venticinque anni del MArteLive System. Non un traguardo, non una data da incorniciare, ma un affondo verso il futuro: una sorta di rito che ha messo in connessione epoche, luoghi e persone. Come raccontavamo nel concept artistico, il Connect non è nato per festeggiare ciò che siamo stati, ma per trasformare il passato in materia viva, rimescolare le carte e far emergere nuove direzioni. Non volevamo un museo dei ricordi, ma un laboratorio del futuro. Abbiamo riconosciuto, masticato e digerito la nostra storia; l’abbiamo attraversata e piegata, come si piega la luce in un prisma, per generare un presente potenziato, capace di aprirsi a ciò che ancora non esiste e non sa. La connessione era il motivo di tutto: tra tempi diversi, tra spazi fisici, tra concezioni mentali, tra artisti emergenti e maestri, tra idee, corpi, linguaggi. Connettere, per noi, non è solo un atto performativo: è un atto politico, poetico e umano. E cosa porta una connessione? Opportunità: di incontro, crescita, trasformazione. Opportunità per gli artisti di essere visti, ascoltati, riconosciuti; per il pubblico di vivere esperienze nuove, di lasciarsi contaminare; per noi, come sistema, di immaginare ancora una volta ciò che non è stato ancora fatto. MArteLive Connect è stato questo: un respiro comune tra passato e futuro, un atto condiviso verso le possibilità. Le esibizioni più riuscite? Ogni artista è stato scelto con molta cura e attenta ricerca, quindi in ogni caso sarebbe andata bene. Se devo indicare ciò che ha funzionato meglio: gli Ike sono stati una bella scoperta; i Neoprimitivi una conferma, un viaggio sonoro che ha davvero catturato il pubblico. Fujija & Miyagi emanavano la stessa energia ipnotica di 15 anni fa: una delizia vederli, non avresti voluto che scendessero mai dal palco. E poi lo stupore con i Plaid: davvero immensi. Ci sono state esibizioni che hanno rotto la barriera invisibile tra palco e pubblico, in cui non si capiva più chi stesse “facendo arte” e chi la stesse ricevendo. Quando l’azione artistica ha invaso lo spazio — non solo fisicamente ma emotivamente — e ha sorpreso, ha fatto sentire. Ecco, quei momenti in cui non stai più assistendo a uno spettacolo ma sei dentro un accadimento e ti rendi conto che qualcosa sta succedendo davvero, fuori ma anche dentro. Penso, per esempio, al nuovo format “Immersiva”, nato proprio dentro MArteLive Connect. C’è stato un istante — durante il set dei Plaid — in cui la contaminazione tra suono e visual ha generato una dimensione imprevista. Non era più un concerto, non era più un video mapping, non era più nemmeno performance: era un campo energetico condiviso, un luogo sospeso tra percezione e presenza. Nemmeno io, che l’avevo immaginato, avrei potuto prevederlo. Il concerto è andato oltre, è riuscito meglio di come me lo sono immaginato: mi capita di rado di essere così sorpreso. È stato come se il tempo si fosse interrotto: uno spazio di sospensione che ha immobilizzato tutti, anche solo per pochi secondi. Un momento di silenzio pieno. Un momento di suono pieno. In quell’istante ho capito di nuovo perché esiste MArteLive: per creare esperienze che non si possono spiegare, solo attraversare… come un viaggio lisergico al naturale. Per generare quel tipo di emozione che non ha un nome, ma che ti resta addosso, ti cambia la frequenza, ti costringe a restare presente. Ti riporta qui.(I Plaid in azione a Connect; continua sotto)25 anni di storia sono tanti: in cosa MArteLive è stato felice precursore, inventore di best practice, e quali invece le scelte che avrebbero potuto funzionare di più.Precursore? Credo di sì. Mettere insieme più arti in contemporanea, in un solo luogo, e farlo di martedì (da cui MArteLive), 25 anni fa è stata una novità. Puntare sulla pittura live con dieci pittori che dipingono in contemporanea, con la musica “giusta”, mentre nelle altre sale accade altro — sempre di artistico — è stato innovativo. Poi è diventato normale. Negli anni successivi molte organizzazioni e crew nate si sono ispirate a MArteLive, e molti tuttora lo riconoscono. Portare danza e teatro fuori dai luoghi deputati (i teatri), e portarli nei locali: anche in questo MArteLive è stato precursore. Il cinema fuori dai cinema, con i cortometraggi, e la poesia fuori dai classici circoli letterari. Tutto questo, insieme, in un unico contenitore. Abbiamo creduto prima di molti che l’arte non fosse più separabile: musica da un lato, pittura dall’altro, danza in un teatro chiuso. No: ho sempre pensato che la vera spettacolarità venga dall’interazione tra le arti e dal mettersi in gioco con modalità trasversali. E che “emergere” non significhi solo arrivare sul palco, ma essere inseriti nei meccanismi giusti, nella rete giusta, con la giusta comunicazione, promozione e visibilità, in un contesto di specifiche opportunità. Inoltre, abbiamo trovato nella diffusione dei palcoscenici lo spazio giusto e necessario per contenere tutta questa bellissima arte. Perciò Concorso + Festival + Diffusione sono state best practice che anche altri hanno seguito e seguono tuttora. La Commissione Europea ci ha selezionati come best practice proprio per questo. Dopo 25 anni possiamo contare su una rete di collaborazioni che ci permette di essere radicati sia a livello territoriale — nei quartieri e nelle città del Lazio — sia a livello nazionale ed europeo, dove operiamo direttamente o indirettamente (come direzione artistica o organizzativa) insieme ad altre associazioni. A distanza di tempo, riconosciamo che alcune scelte avrebbero potuto essere anticipate o strutturate in modo diverso. Forse avremmo potuto, già in una fase iniziale, intraprendere con maggiore decisione la strada delle start-up culturali, creando un modello organizzativo capace di sostenere in modo più solido la crescita dei progetti artistici. Oggi stiamo recuperando quella visione: stiamo infatti costruendo un ecosistema imprenditoriale creativo che unisce produzione artistica, progettazione e comunicazione. Un altro passo che avremmo dovuto compiere prima — e che ora stiamo finalmente realizzando — è la creazione di un’agenzia di comunicazione integrata, pensata per valorizzare e diffondere in maniera più efficace le molte attività che sviluppiamo. La quantità e la complessità dei progetti che portiamo avanti spesso rendono difficile comunicarli tutti con la cura che meritano; per questo stiamo investendo nella costruzione di una struttura dedicata alla narrazione, promozione e valorizzazione dell’impatto culturale delle nostre iniziative. In sintesi, stiamo trasformando un’esperienza fortemente artistica in un modello più strutturato e sostenibile, capace non solo di produrre cultura, ma anche di comunicarla, distribuirla e farla crescere nel tempo.Puntare sulla pittura live con dieci pittori che dipingono in contemporanea, con la musica “giusta”, mentre nelle altre sale accade altro — sempre di artistico — è stato innovativo. Poi è diventato normaleCome è cambiata Roma, in questi 25 anni? E se è cambiata, quanto è stato difficile per MArteLive adeguarsi a questi cambiamenti?Roma è un organismo che respira e cambia, in modo lento ma profondo. Negli ultimi 25 anni, fortunatamente, ha vissuto numerosi spostamenti: negli spazi, nei linguaggi, nel pubblico, nell’atteggiamento verso la cultura. Spazi ex industriali, quartieri che rinascono e mutano, nuove comunità umane, nuove generazioni che scoprono nuove tecnologie. Per MArteLive è stato un continuo rinascere e ri-adattarsi, riscoprendo ogni volta un’identità più multiforme e multistrato: siamo rimasti radicati nella città senza fossilizzarci. La nostra resilienza e capacità di adattamento ci hanno portato, nel 2010, a una trasformazione decisiva: da evento multidisciplinare concentrato in un’unica location siamo diventati evento diffuso, capace di animare più spazi e più linguaggi contemporaneamente. In quell’anno nasce infatti MArteLive Beta Edition, un esperimento pionieristico che anticipa il modello della Biennale MArteLive, ufficialmente lanciata nel 2014. Con la Beta Edition abbiamo dato vita al primo festival multidisciplinare diffuso della nostra storia: un test di innovazione culturale che ha aperto la strada a un nuovo modo di concepire l’esperienza artistica — non più raccolta in un unico luogo, ma estesa, simultanea, partecipata e in dialogo con l’intera città di Roma. Siamo cambiati con lei. Per lei. Non abbiamo mai adattato un format predefinito a uno spazio o a un tempo, ma, viceversa, abbiamo trovato ogni volta il modo migliore di raccontare arti e cultura dentro nuovi scenari, nuovi pubblici, nuovi spazi. A me piace scovare nuovi artisti quasi quanto trovare nuovi spazi: entrambe le cose mi esaltano. E quando riusciamo a trovare l’artista giusto per lo spazio giusto, allora voliamo. Per esempio, IMMERSIVA è nata così: l’ispirazione di uno spazio — l’Atelier Montez — ha portato alla costruzione di un format preciso e alla ricerca di artisti e artiste altrettanto precisi. Era nella mia intuizione; poi, quando è accaduto, grazie alla concretezza e al supporto del team, ci siamo emozionati. Perché sì: la realtà supera l’immaginazione. Le difficoltà? Tante, sempre: burocrazia; autorizzazioni per gli spazi non convenzionali (tanto richiesti nei bandi, ma poi difficili da usare); necessità di rinnovare la comunicazione social senza perdere identità. Ma la bellezza è stata più forte di tutto. La bellezza di MArteLive è questa: restare “in piedi” a testa alta, sfidando tendenze e controsensi istituzionali, mantenendo un principio di inesorabile libertà da qualsiasi moda. Non facciamo qualcosa perché “di tendenza”, ma perché è universalmente bello ora o lo sarà tra trent’anni. Roma ci ha dato lo scenario — e noi abbiamo cercato di farlo nostro, senza subirlo. D’altronde, questa città è così: o impari a viverla, sfruttandone i controsensi e la bellezza, o la subisci.Esistono delle realtà, in Italia e all’estero, a cui vi sentite vicini, per formato o anche solo per attitudine?Sì, ma più per risonanza che per somiglianza. Non ci interessa essere “vicini” in senso strutturale — MArteLive è un organismo in mutazione continua, un sistema vivente che si rigenera ogni volta che incontra nuove energie artistiche e cresce ogni volta che incontra un ostacolo. Le affinità cambiano nel tempo, perché cambiamo anche noi. Non potremmo appartenere definitivamente a un “genere” o a una categoria: il formato stesso di MArteLive — multiartistico, ibrido — nasce per attraversare i confini, non per abitarli. A oggi, non esiste nulla che gli somigli davvero. Ci sono però esperienze in Italia e nel mondo che ci risuonano: festival che hanno la stessa attitudine a rompere la forma e a far accadere l’arte come processo, non come prodotto. Penso a Unsound (Polonia), dove il suono diventa paesaggio percettivo e la tecnologia parte dell’emozione; a Sónar (Spagna), eccellenza nell’elettronica e nelle avanguardie, che esplora da anni i limiti tra musica, visione e cultura digitale; o al Boom Festival (Portogallo), che ha trasformato l’idea di festival in un ecosistema spirituale e artistico. Ci sono poi progetti più teatrali e performativi come il NEXT Festival tra Francia e Belgio, o l’Helsinki Festival, che abbraccia musica, danza, teatro e circo contemporaneo con una sensibilità profondamente nordica. Sono tutte realtà eccellenti, spesso verticali su una disciplina. Ciò che contraddistingue MArteLive, forse, è l’essere diventato un’eccellenza nel multidisciplinare. Molti media hanno definito l’ultima Biennale come uno dei più grandi festival multidisciplinari diffusi d’Europa. Abbiamo fatto diverse ricerche ma non abbiamo trovato esperienze davvero simili; se ci fossero, vorremmo andarci per lasciarci ispirare. Al momento non le vediamo e saremmo curiosi di scoprirle e far nascere collaborazioni. Se esistono cose simili, parliamo di risonanza, non di somiglianza. MArteLive non nasce come imitazione, ma come creazione di un campo: un campo magnetico in cui le arti si contaminano, si fondono e si respingono, generando qualcosa che nessuna disciplina da sola potrebbe produrre. È un esperimento sociale, artistico, culturale e percettivo, dove lo spettatore non guarda: accade insieme all’artista. Questo ci distingue: la nostra non è solo una programmazione multidisciplinare, una line-up; è un ecosistema reticolare che connette luoghi, linguaggi, generazioni. Un laboratorio permanente. In Italia esistono realtà affini nell’intenzione — collettivi, spazi, persone — ma non un’altra piattaforma che unisca concorso, festival diffuso, produzione, formazione degli operatori dello spettacolo e internazionalizzazione in un’unica struttura dinamica. MArteLive non è un evento: è un sistema, un modo di stare al mondo artisticamente, replicabile solo se se ne comprende l’anima, non la formula. Essere “vicini” per noi significa riconoscere chi, come noi, non cerca di definire l’arte ma di attraversarla. L’esperienza estetica più pura non è (solo) quella che rappresenta: è quella che connette spazio, tempo, corpi, suoni, gesti. Ecco perché diciamo che MArteLive non somiglia a nulla: perché la sua natura è mutante. È un sistema aperto, un linguaggio in continua traduzione. E, come tutti i sistemi vivi, non si lascia mai afferrare del tutto: cresce, cambia, risuona. MArteLive, inoltre, fa del “piccolo” un valore: non solo grandi platee, ma anche spazi intimi, performance ravvicinate, artisti emergenti + ospiti internazionali, contaminazioni che non vengono inglobate ma messe in tensione. Per questo diciamo: “fratelli per attitudine”, non gemelli per forma.Molte organizzazioni e crew nate si sono ispirate a MArteLive, e molti tuttora lo riconoscono. Portare danza e teatro fuori dai luoghi deputati (i teatri), e portarli nei locali: anche in questo MArteLive è stato precursore. Il cinema fuori dai cinema, con i cortometraggi, e la poesia fuori dai classici circoli letterari. Tutto questo, insieme, in un unico contenitore. Abbiamo creduto prima di molti che l’arte non fosse più separabile: musica da un lato, pittura dall’altro, danza in un teatro chiusoQuali sono i modi migliori per “parlare” al vostro pubblico, visto che siete una realtà così sfaccettata, articolata e particolare? Come vi organizzate a livello di comunicazione?La comunicazione per noi è la sfida più grande, ogni giorno. A dire la verità, non ci dormo la notte (e già dormo poco). MArteLive non è un evento che puoi raccontare con una foto, un video o uno slogan: è un’esperienza, un organismo complesso, un intreccio di arti, persone, emozioni, spazi. Comunicarlo significa fermare qualcosa, tradurre l’invisibile — e ogni volta va trovato un linguaggio nuovo. Il nostro pubblico non è un target: è una costellazione. C’è chi arriva per la musica, chi per la pittura dal vivo, chi per la danza, il circo, il DJing o per un’installazione inaspettata. Parlare a tutti questi mondi insieme senza ridurli a una sola voce è difficile, ma è lì che la sfida diventa ricchezza. Cerchiamo di non spiegare troppo: preferiamo evocare e attirare le persone a vivere davvero le esperienze che proponiamo. La comunicazione migliore è quella che lascia intravedere un mistero, che fa intuire la possibilità di vivere qualcosa di unico. Come accade durante gli eventi, anche la nostra comunicazione cerca di essere esperienziale, sensoriale. Operativamente, non abbiamo una struttura gerarchica tradizionale. MArteLive funziona come un sistema a rete: la comunicazione si genera da più nodi — grafici, videomaker, social media team, giornalisti, artisti stessi. È un flusso collettivo, dove ognuno traduce MArteLive nella propria lingua. Questo a volte ci rende più lenti, ma anche più veri: ogni messaggio porta dentro una parte di mondo, una identità. Negli anni abbiamo imparato che il modo migliore per “parlare” al nostro pubblico è non parlare solo con le parole: è far vivere esperienze — immagini, suoni, frammenti, visioni. È aprire spazi di sorpresa, non solo informare. Per questo stiamo lavorando molto su video e copy e cerchiamo schegge in questi due campi, capaci di correre alla nostra velocità. MArteLive è connessione nel senso più profondo. La sfida quotidiana è mantenerla viva, autentica, sensibile. In fondo, comunicare MArteLive significa comunicare qualcosa che non si può pienamente dire — ma solo far accadere.MArteLive funziona come un sistema a rete: la comunicazione si genera da più nodi — grafici, videomaker, social media team, giornalisti, artisti stessi. È un flusso collettivo, dove ognuno traduce MArteLive nella propria lingua. Questo a volte ci rende più lenti, ma anche più veri: ogni messaggio porta dentro una parte di mondo, una identitàOrmai pare una regola: qualsiasi cosa venga fuori dalla musica, ad un certo punto deve iniziare a gravitare attorno a Milano. Sarebbe possibile una “traduzione” milanese di MArteLive?Milano è un terreno potentissimo, una città che non ti lascia indifferente: o la ami, o la attraversi cercando continuamente un modo per respirarla diversamente. Assorbe e rielabora tutto ciò che ha energia e visione. Per questo sì: una traduzione milanese di MArteLive sarebbe non solo possibile, ma necessaria — a patto che non sia una semplice replica del format romano, ma una metamorfosi. Milano ha un paesaggio unico: ex fabbriche, spazi industriali riconvertiti, zone di confine tra underground e design, tra cultura indipendente e sistema. Luoghi — penso a BASE, alla Fabbrica del Vapore, a spazi di Bovisa o della Barona — in attesa di visioni nuove. Lì MArteLive potrebbe diventare un ponte tra suono e materia urbana, un esperimento di contaminazione tra performance, tecnologia e visual art. Milano, più di qualsiasi altra città italiana, ha un’energia internazionale: convivono moda, arte contemporanea, elettronica, industria creativa, start-up. È un laboratorio naturale per una visione multidisciplinare e interconnessa come la nostra. Non importare MArteLive da Roma, ma tradurlo nella lingua di Milano: più geometrica, più ritmica, più legata al design e alla cultura digitale. A Milano potremmo valorizzare un contesto particolarmente fertile per un progetto come la Biennale MArteLive. La città offre una rete consolidata di fondazioni ex bancarie — realtà filantropiche molto attive, assenti o meno strutturate nel Lazio — che potrebbero sostenere un format multidisciplinare e innovativo come il nostro. Inoltre Milano ospita numerosi brand e imprese nazionali e internazionali, sensibili alla creatività contemporanea e interessati a legare il proprio nome a progetti culturali ad alto impatto. Questa concentrazione di partner potenziali, insieme alla presenza di location non convenzionali — cifra distintiva di MArteLive — rende la città un terreno ideale per una futura edizione della Biennale. Già alcuni anni fa avevamo immaginato una versione milanese in un luogo straordinario come l’ex sede della RCA in via Quintiliano 40: edificio iconico dell’industria culturale italiana, perfetto per un festival multidisciplinare diffuso capace di fondere musica, arti visive, teatro e nuove tecnologie. Milano è dunque una naturale estensione del modello MArteLive, dove la densità di creatività, imprese culturali e spazi sperimentali potrebbe amplificare la portata nazionale e internazionale del progetto. In fondo, MArteLive è nato per questo: attraversare i territori, senza appartenervi. E, se c’è una città in Italia che può comprendere questa logica del continuo divenire, è proprio Milano.MArteLive comunque è un anticorpo sano alla deriva per cui esistono sempre più solo i grandi eventi da decine di migliaia di persone (e dai prezzi del biglietto alti): riusciremo in Italia a far rifiorire la scena dei piccoli live club, ora abbastanza in difficoltà?Sì, e dobbiamo riuscirci — perché è lì, nei piccoli club, nei teatri da cinquanta posti, che l’arte torna a essere umana, concreta, necessaria. MArteLive è nato proprio in quei luoghi: nei sotterranei, nei localini di San Lorenzo, dove il contatto con il pubblico era diretto, senza mediazioni. Quel battito, quell’energia, sono ancora nel nostro DNA. Oggi tutto sembra spingere verso la gigantizzazione: grandi eventi, grandi numeri, grandi budget. Anche noi abbiamo un piede in quella dimensione, ma come somma di tante piccole cose. L’arte però non cresce solo in verticale: cresce anche in profondità. I piccoli club sono radici: invisibili, ma fondamentali per far vivere l’intero sistema. Il rischio è inseguire i grandi palchi e dimenticare la linfa che alimenta la musica: l’intimità dello sguardo diretto tra artista e pubblico, il brivido di una nota che vibra a due metri da te (a IMMERSIVA abbiamo voluto togliere qualsiasi palco e mettere gli artisti in mezzo alle persone, al centro, in minoranza e non in alto). Credo in una nuova ecologia dell’arte e della musica dal vivo, in cui grande e piccolo non si escludono ma si parlano. Sono connessi. E ciascuno può scegliere cosa vivere e dove. Un artista può passare da un palco da 1.000 persone a un club da 100, e in entrambi i casi trovare senso. Questo è successo al MArteLive Connect: gli artisti passavano da sale con centinaia di persone a scantinati con un piano e 30 sedie. Per rifiorire serve una rete di spazi indipendenti, amministrazioni coraggiose che si calino con presenza e consapevolezza nelle necessità di operatori, artisti e pubblico curioso. Serve riconoscere il valore del piccolo come forma di intensità, non di marginalità. Se ci riusciremo, l’Italia tornerà a essere un laboratorio artistico autentico, non solo una vetrina su vasta scala. E MArteLive continuerà a fare da ponte: tra sottosuolo e cielo, tra urgenza creativa e possibilità concreta di farla accadere, qui e ora.In 25 anni di MArteLive, quali sono stati i momenti più emozionanti? E quali quelli più sorprendenti?Ce ne sono tanti, e ogni volta che ci ripenso mi rendo conto che MArteLive è stato — ed è — un grande viaggio umano, prima ancora che artistico. I momenti più emozionanti sono quelli in cui la visione prende corpo: quando capisci che un’idea nata in una stanza diventa un’esperienza condivisa da centinaia di persone. Ricordo le prime edizioni nei locali di Roma, quando tutto era puro istinto: non c’era struttura, solo desiderio. Eppure da quella energia è nata un’intera generazione di artisti. Vedere i primi vincitori — oggi professionisti, performer internazionali, registi, musicisti — è una delle emozioni più grandi: la sensazione che un seme abbia davvero fiorito. Altri due momenti indimenticabili: quando MArteLive è uscito dai confini di Roma, diventando nazionale e poi europeo. La prima volta fuori dal raccordo anulare risale al 2007: MArteLive a Bologna, a Villa Serena; con bandiere e striscioni siamo partiti da Roma per supportare i nostri nuovi cugini bolognesi. Eravamo giovani: si respirava odore d’ avventura. Nel 2021 e 2022 abbiamo portato MArteLive in Lituania, Polonia e Bosnia ed Erzegovina. Nel 2021 un’edizione surreale a Vilnius, in piena emergenza Covid; poi, nel 2022, ricordo con emozione la grande traversata in minivan fino a Cracovia per accogliere all’aeroporto decine di artisti da tutta Europa e poi, tutti insieme, con autobus e minivan, fino a un paesino a pochi chilometri da Leopoli, sotto le bombe della guerra appena scoppiata. Il senso del nostro lavoro sta anche in questa piccola avventura: giovani artisti europei che non hanno avuto paura di portare un messaggio artistico a pochi chilometri da una guerra, in un momento di massima allerta anche per la Polonia. In qualche modo era la nostra piccola flottiglia. Ogni volta che un artista ci scrive da un’altra città o da un altro Paese dicendo “Voglio farne parte”, capisco che MArteLive non è mai stato solo nostro: è un linguaggio collettivo. Ogni volta che guardo le opere di street art con cui abbiamo invaso la città — tra cui quella a Corviale, tra le più alte d’Italia — mi ricordo perché abbiamo cominciato e perché andiamo avanti senza paura: per creare impatto. MArteLive vive di questo: dell’imprevedibilità come valore. Ogni edizione è un esperimento alchemico tra disciplina e caos, visione e destino. E forse la cosa più sorprendente è che, dopo venticinque anni, l’emozione è ancora la stessa: sentire che qualcosa di vivo si muove, che la connessione tra arte e vita non si è mai interrotta.The post Un’entità strana, un Uragano: la bizzarra, lunga (multi)storia di MArteLive appeared first on Soundwall.