Da penalista vedo quanta distanza c’è tra i diritti costituzionalmente garantiti e la realtà

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La promessa di riforme della giustizia penale è un cavallo di battaglia dei partiti e dei movimenti politici ed è un argomento che sta particolarmente a cuore ad ogni governo in carica. Quello che non tutti sanno è quanto queste riforme, spesso ritenute una svolta epocale, incidano realmente sull’effettivo funzionamento della giustizia.Prendiamo ad esempio la riforma Cartabia: valorizzazione dei riti alternativi, riduzione dei tempi del processo, misure sostitutive alla detenzione per favorire il reinserimento sociale. Tutti argomenti che avrebbero la funzione di snellire la burocrazia nei tribunali e nelle procure. Ma in realtà, per chi trascorre la maggior parte del tempo nei corridoi delle aule di tribunale non è così. Rimangono i rinvii lunghi, gli appelli fissati a distanza di anni, gli uffici giudiziari sotto organico, gli imputati in attesa di giudizio per anni, le famiglie in attesa di giustizia per molto tempo.In campagna elettorale si cavalca il giustizialismo e il garantismo a seconda della convenienza e delle richieste dell’elettorato. Da una parte sostegno alla “tolleranza zero” per i reati contro la persona e il patrimonio; dall’altra, valorizzazione della presunzione di non colpevolezza e attenuazione delle pene per i reati contro la pubblica amministrazione soprattutto se, e quando, un fatto che ha rilevanza penale coinvolge una personalità politica.Nella veste di avvocato penalista percepisco ogni giorno quanto cresca la distanza tra i diritti costituzionalmente garantiti e quello che accade nella prassi. La giustizia non sempre è uguale per tutti. La presunzione di innocenza diviene un principio astratto quando il nome dell’indagato viene sbattuto sui giornali o quando una misura cautelare diventa lo strumento per anticipare l’espiazione della pena. È una condanna a vita, comunque vada a finire.L’equilibrio del processo penale viene inficiato da prassi che cambiano da tribunale a tribunale e si accentua così la disparità tra i mezzi dell’accusa, che il reato lo dovrebbe provare, e quelli della difesa. E poi, aumenta la diffidenza nel sistema giudiziario per via degli errori della magistratura, delle sue correnti e dal controllo del Csm. L’indipendenza della magistratura passa per essere un privilegio senza una vera assunzione di responsabilità.Il fatto è che la giustizia penale diventa un tema sul quale dibattere solo quando interessa qualcuno, perché solo incappandoci ci si rende conto che dentro ogni fascicolo ci sono vite sospese, famiglie distrutte che sopravvivono in attesa di una sentenza che potrebbe giungere anche a distanza di troppi anni. Se non si mette mano alle carenze di un sistema fragile, privo di strumenti per il buon funzionamento della giustizia, nessuna riforma potrà dirsi epocale.Il compianto avvocato penalista Ettore Randazzo scriveva sull’indifferenza di una giustizia “affare altrui”, lontana dall’interesse di chi non l’ha mai conosciuta e citava la riflessione di Bertold Brecht: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare”.L'articolo Da penalista vedo quanta distanza c’è tra i diritti costituzionalmente garantiti e la realtà proviene da Il Fatto Quotidiano.