Thailandia, Sudafrica e Australia: tre Paesi in tre libri

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“Ogni volta, prima di cominciare a scuoiarla, rimanevo fermo a una certa distanza, esitante, e fissavo il cadavere da lontano. Ci voleva sempre più tempo del dovuto prima che trovassi il coraggio di avvicinarmi, girarle attorno e accovacciarmi accanto. E alla fine, dopo una lunga esitazione, le aprivo la bocca, le osservavo con attenzione i denti, perfino la lingua, rossa e incredibilmente ruvida.”Una storia vecchia come la pioggia, di Saneh Sangsuk (traduzione di Alice Cola; Utopia Editore), è un romanzo ambientato in un remoto villaggio della Thailandia, ai margini della giungla, minacciato dalle inondazioni e dall’avanzare inesorabile del progresso. Quando scende la sera, il reverendo padre Tien raduna i bambini – gli unici ancora capaci di credere nella magia – per raccontare la sua giovinezza. Le sue storie non sono semplici favole; sono un lungo e vivido flashback che ci trasporta in un’epoca in cui la giungla era maestosa e irta di pericoli mortali, popolata da elefanti, tigri e coccodrilli.Il romanzo può essere visto come una celebrazione della tradizione orale del racconto, dove la scrittura imita il parlare senza soste e la sonorità della comunicazione verbale. Il cuore pulsante de Una storia vecchia come la pioggia non è però solo la nostalgia, ma il conflitto ancestrale tra l’uomo e la natura, dove anche la foresta diviene personaggio, simbolo di una memoria collettiva che cerca, ostinatamente, di sopravvivere.“La distanza tra noi e la storia può aumentare fisicamente, ma mentalmente non dovrebbe mai essere così. Mia madre me l’ha sempre inculcata, l’importanza della nostra storia. Diceva che il lato peggiore del Sudafrica è che non prendiamo le cose sul serio e il lato migliore del Sudafrica è che non prendiamo le cose sul serio.”Junx. Non basterebbe una notte, di Tshidiso Molestane (traduzione di Stefano Pirone; Pidgin Edizioni), è una riuscita ed esplosiva opera prima che miscela un linguaggio crudo, rozzo e violento con passaggi lirici ed emotivi di grande impatto. L’autore trascina i lettori in una Johannesburg sporca ed estrema, dove, durante una notte di festa, il protagonista senza nome decide di condividere una canna con il suo amico immaginario Ari. La notte degenera nel caos e il protagonista si ritrova a sgommare verso un bordello a bordo di un’auto a noleggio rubata, inseguito dalla polizia e dai turisti infuriati. Il suo folle vagare è accompagnato dalle sue sprezzanti elucubrazioni mentali nei confronti della società sudafricana. Un arrabbiato flusso di coscienza che mescola il nichilismo con la sfrontatezza e che affronta la corruzione, la povertà e i problemi di salute mentale.L’ansia deflagra grazie al sesso e alla droga, e una sensazione costante di disperazione intesse la mente del protagonista, convinto che non vi sia nulla per cui combattere. Junx è un romanzo brutale, sfacciato, onesto e difficile da digerire, ma è proprio in questa difficoltà che risiede la sua forza. È la cronaca cruda e viscerale di un’anima alla deriva in un mondo che sta andando in pezzi.“Sei giorni dopo Ingvar superò un’altura erbosa e sentì l’odore dell’oceano. Aveva raggiunto l’estremità orientale del continente. Colline verdeggianti digradavano fino alla costa e un promontorio frastagliato si protendeva sul mare. Ingvar si accasciò a terra, prese un’arancia dallo zaino e studiò il panorama.”Perché i cavalli corrono?, di Cameron Stewart (traduzione di Barbara Ronca; Carbonio Editore), è un romanzo che affonda le sue radici nel vasto e a volte crudele paesaggio australiano. Al centro della narrazione c’è Ingvar, un uomo afflitto dal senso di colpa e dal trauma di una tragedia passata. Ha abbandonato la sua vita precedente – la moglie, il lavoro, gli agi – per camminare. Cammina da tre anni attraverso il Paese, un vagabondo che si nutre di quel che trova. La narrazione dipinge Ingvar come un fuggiasco in cerca di un antidolorifico emotivo.La sua fuga si blocca in una valle remota, dove incontra Hilda, una vedova che parla costantemente con il fantasma del marito defunto e fedifrago. Nonostante il dolore che la consuma, Hilda offre a Ingvar un rifugio nel suo capanno per le banane, accettando in cambio qualche lavoretto. Stewart riesce in un’impresa notevole: la terra australiana non è solo uno sfondo, ma diventa un’entità a sé stante, dove personaggi memorabili si muovono non sempre in sincronia con essa, trascinati verso un finale scioccante che sembra porre una domanda ineludibile: la pace interiore è davvero possibile per chi è così determinato a scappare?L'articolo Thailandia, Sudafrica e Australia: tre Paesi in tre libri proviene da Il Fatto Quotidiano.