Lavrov-Molotov: vite parallele

Wait 5 sec.

di Gianluca Vivacqua –Alla fine di tutto, dell’invasione in Ucraina e soprattutto dell’era Putin, Sergej Lavrov rimarrà il ministro degli Esteri più noto della storia russa post-zarista dopo (o insieme a) Andrej Gromyko e a Vjačeslav Molotov. Detto che Lavrov, alias Mr. No II, con i suoi 22 anni consecutivi agli Affari esteri è sulla buona strada per intaccare il record di longevità di Mr. No I (28 anni), ci pare più interessante tentare una comparazione storico-biografica tra lui e il ministro di Stalin, se non altro perché con quest’ultimo condivide l’esperienza di un conflitto diretto.Si potrebbe cominciare con un tratto che li differenzia in modo sostanziale: mentre Lavrov, al momento di essere nominato da Putin massimo responsabile della politica estera russa, aveva già alle spalle numerose esperienze nel settore, diplomatiche e politiche (consigliere presso l’ambasciata sovietica in Sri Lanka, terzo e secondo segretario nella Sezione per le relazioni economiche internazionali dell’URSS, consigliere senior della missione sovietica presso le Nazioni Unite a New York, viceministro degli Affari esteri, rappresentante permanente della Russia presso le Nazioni Unite, ambasciatore della Russia presso l’ONU), Molotov arrivò a tale carica un po’ a sorpresa mantenendo quella di presidente del Consiglio. Ma in precedenza non si era mai occupato di politica internazionale: era stato infatti direttore della Pravda, segretario del comitato centrale del partito bolscevico ucraino, membro del comitato centrale e addetto alla segreteria del partito bolscevico russo e quindi, divenuto ormai il braccio destro di Stalin, vice segretario del partito, membro del Politburo e presidente del Consiglio dei Commissari del popolo, cioè capo del governo. In questa veste fu l’attuatore del programma staliniano di collettivizzazione dell’agricoltura e di industrializzazione mentre dall’interno del Politburo diede il suo contributo all’eliminazione sistematica degli avversari di Stalin (le “purghe”).Un primo importante aspetto in comune è invece il fatto che, sia nel caso dell’uno sia nel caso dell’altro, la designazione agli Esteri servì a rimpiazzare un ministro più scomodo: nel 2004 Lavrov subentrò all’ “eltsiniano” Igor’ Ivanov, sacrificato alla necessità che il nuovo regime aveva di essere rappresentato da facce nuove; nel 1939 Molotov prese il posto di Maksim Litvinov, che era ebreo e quindi assolutamente non spendibile nella prospettiva di un accordo strategico con i nazisti.Dire “accordo strategico” significa in realtà individuare il secondo punto di collegamento tra il ministro sovietico e quello putiniano: da una parte abbiamo il patto Molotov-Ribbentrop, probabilmente il vero antefatto della II guerra mondiale; dall’altra l’accordo Lavrov-Kerry. Se Molotov, nel 1939, si accordava con il ministro di Hitler per avere mano libera nell’espansione territoriale russa verso il Baltico, in cambio del placet all’occupazione della Polonia da parte tedesca, Lavrov nel 2014 cooperava col suo omologo americano per una liquidazione totale dell’arsenale chimico di Assad. Ciò però non gli impedì l’anno dopo di intervenire militarmente in Siria a fianco dello stesso Assad contro i ribelli sostenuti dagli Usa. L’aiuto militare russo naturalmente era lungi dall’essere disinteressato, implicava anzi un aumento dell’influenza russa nella regione.Tuttavia mentre coloro con cui Molotov aveva trattato sarebbero divenuti, di lì a pochi anni, i nemici della Russia, Lavrov riuscì a procurare alla Russia un alleato fedele, come si vide nel 2022 quando Assad votò contro la risoluzione Onu che condannava la Russia all’indomani dell’invasione dell’Ucraina.Fatte le debite proporzioni dunque, la guerra in Ucraina è stata (e continua a essere) per Lavrov ciò che per Molotov è stata la guerra con i tedeschi. Ma mentre nel caso di Molotov la guerra si può considerare il prodotto del deterioramento del contesto entro cui era maturato uno dei suoi atti più importanti, in quello di Lavrov la vicenda bellica che si è trovato a gestire non è collegata al brusco cambiamento delle condizioni che avevano reso possibile un accordo con la sua firma.Assolutamente simile, invece, è il punto di vista relativo alla responsabilità della propria parte nello scoppio della guerra. Come l’URSS secondo Molotov, così la Russia secondo Lavrov “non ha iniziato la guerra” (contro i tedeschi in un caso, contro l’Ucraina nell’altro). Per i sovietici si trattava piuttosto di reagire all’attacco tedesco per la propria sopravvivenza, per i russi di rispondere al grido di dolore non solo delle genti russofone dell’Ucraina vessate da Kiev ma di tutta la popolazione del Paese, oppressa da un regime definito come “nazista”: c’era inoltre il dovere di agire per evitare l’accerchiamento della NATO, la cui espansione a est, a detta del Cremlino, rappresenta forse il vero fattore di destabilizzazione del quadro internazionale.Parole-chiave comuni a entrambi sono poi “federalismo”, “federare” e “federazione”. Se Lavrov almeno fino al 2021 vedeva un’Ucraina su base federale, in cui le minoranze russofone avessero lo stesso peso delle altre componenti etniche del Paese, Molotov vagheggiava addirittura una federazione universale di tutti gli Stati socialisti.E che dire della consonanza perfetta nella visione dell’Occidente? Per Molotov era ancora il mondo del capitalismo imperialista, pericoloso o semplicemente pazzo; Lavrov lo definisce “infido” e “criminale”, pronto a trascinare l’umanità in una guerra disastrosa.