Perché l’Europa rischia di finire nel fuoco incrociato dei dazi tra Cina-Usa

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Nella partita dei dazi tra Stati Uniti e Cina si è aperto un nuovo capitolo quando la scorsa settimana Pechino ha annunciato una serie di restrizioni alle esportazioni sulle terre rare; mossa che ha causato l’ira del presidente statunitense Donald Trump, il quale ha minacciato l’imposizione di nuove tariffe aggiuntive “del cento per cento” sui prodotti cinesi importati in America. L’escalation diplomatica è andata avanti nel fine settimana, e adesso sembra stia rientrando. Ma le misure adottate da Pechino restano. E a farne le spese più di tutti non sono gli Stati Uniti.Le nuove regole promosse da Zongnanhai, che entreranno in vigore in due separati scaglioni distanti tre settimane l’uno dall’altro (8 novembre il primo scaglione, 1 dicembre il secondo) sono infatti concepite per limitare l’esportazione di motori elettrici, chip per computer e altri dispositivi fondamentali nella vita quotidiana, ma anche di materiali e componenti destinati ad essere utilizzati in attrezzature militari (come i piccoli ma potenti motori elettrici utilizzati nei missili e nei caccia, o i materiali per i telemetri utilizzati nei carri armati e nell’artiglieria per acquisire bersagli lontani), a tutto il resto del mondo. Compresa l’Europa, che secondo gli osservatori potrebbe essere quella che più andrà a risentire delle nuove imposizioni di Pechino, tanto nel settore militare che in quello civile.Nel primo caso, le motivazioni sono ovvie. I Paesi del continente europeo hanno avviato un imponente processo di riarmo in seguito all’invasione su larga scala dell’Ucraina lanciata dalla Russia nel febbraio del 2022. Una strozzatura nella supply chain andrebbe non solo a inficiare il processo di sviluppo del sistema militare-industriale europeo, ma potenzialmente anche la sua capacità di garantire il sostegno militare all’Ucraina. Un fattore particolarmente reimportante, considerando come Trump abbia reso evidente l’interesse americano a “sganciarsi” dal sostegno al Paese dell’Europa dell’Est.Allo stesso tempo, si prevede che la nuova ondata di restrizioni andrà a pesare anche sul mercato dell’auto europeo, che già sta attraversando un momento di difficoltà. “Una singola auto a benzina può avere più di quaranta diversi magneti in terre rare all’interno dei motori elettrici che alimentano i freni, i sedili, lo sterzo, gli alzacristalli elettrici e altri sistemi. Le auto elettriche hanno ancora più magneti in terre rare, che vengono utilizzati per far girare le ruote”, nota sul New York Times il giornalista Keith Bradsher, ricordando che svariati ritardi si sono già accumulati rispetto alla prima tranche di limitazioni promossa ad aprile dalla Repubblica Popolare, e suggerendo che queste disfunzioni nella supply chain andranno a crescere ulteriormente nei prossimi mesi.L’Europa rischia dunque di ritrovarsi come “vittima collaterale” nel sempre più violento scontro economico tra gli Stati Uniti e la Cina. E rimanere inerme di certo non la aiuterà. Lavorare a livello diplomatico su entrambi i fronti (ma soprattutto, per ovvi motivi, su quello americano) potrebbe permettere ai Paesi del Vecchio continente di ritagliarsi una posizione diversa, al di fuori della linea di contatto diretta. Non sarà certo un risultato facile da raggiungere, ma l’assenza di questo sforzo rischia di portare l’Europa in una posizione di ulteriore debolezza, da cui sarà poi ancora più difficile riemergere in futuro.