Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant. La citazione di Tacito più spesso tradotta con “fanno un deserto e lo chiamano pace”, è tornata in auge visto come gira il mondo. Per la distesa di macerie in cui Gaza è stata trasformata, certo, ma anche per la corsa al riarmo in Unione europea, con ampio sostegno del suo Parlamento, che all’inizio si chiamava ReArm Europe, che dopo le critiche di Spagna e Italia è stato trasformato in Readiness 2030 e infine, visti i mal di pancia dei socialisti e con quel tocco di ipocrisia al quale gli europei non sanno rinunciare, Preserving Peace – Defence Readiness Roadmpap 2030. Perché “le recenti minacce hanno dimostrato che l’Europa è a rischio. Dobbiamo proteggere ogni cittadino e ogni centimetro quadrato del nostro territorio”, ha appena ribadito per l’ennesima volta la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.Alla faccia della “pace”, la Roadmap per la difesa comune lanciata ufficialmente giovedì 16 ottobre dalla Commissione e dall’Alta Rappresentante Kaja Kallas, è fatto di un muro di droni con tanto di “sentinella” sul fronte Est, dello Scudo Aereo Europeo e dello Scudo Spaziale di Difesa per contrastare anche le operazioni di disturbo dei sistemi GPS, quelle che la stessa von der Leyen avrebbe sperimentato a fine agosto, dovendo atterrare in Bulgaria utilizzando le mappe manuali. Se non fosse ancora chiaro, parliamo di missili, sistemi d’artiglieria, munizioni, droni e contro-droni, e poi IA, guerra elettronica e chi più ne ha, più ne metta. Ma soprattutto, il piano vale più di mille miliardi di fondi pubblici, per ora. E entro il 2035 investiremo “circa 6.800 miliardi di euro nella difesa, di cui il 50% per quella effettiva”, ha appena spiegato il commissario Ue alla Difesa Andrius Kubilius. E siccome pagherà pantalone e alcuni governi sono tutti concentrati a contenere le altre spese, il riferimento alle armi non poteva che essere cancellato del tutto e possibilmente sostituito da qualcosa di più rassicurante.Pace, dunque. Ma, come dice la massima latina più volte citata da Giorgia Meloni e non solo, “si vis pacem, para bellum” (se vuoi la pace, preparati alla guerra). E prepararsi, secondo i calcoli di von der Leyen, costa subito 800 miliardi di euro da tirar fuori con la clausola di salvaguardia, che significa permettere agli Stati membri di indebitarsi senza tirate d’orecchie. Ma guai a usare questa flessibilità per altra spese, toglietevelo dalla testa. Si aggiungano poi i 150 miliardi del già noto SAFE (Security Action for Europe): prestiti Ue a lunga scadenza, a condizioni agevolate, per indebitarsi ulteriormente. E altri 200 miliardi da infilare nel prossimo bilancio tra Difesa, Spazio e creazione, entro il 2027, di una rete di corridoi terrestri, aerei e marittimi per mobilitare truppe e mezzi in modo coordinato.Senza contare le iniziative per intercettare i miliardi dei privati, anche agevolando gli investimenti finanziari con la creazione di meccanismi di garanzia istituzionale. Come? Usano i soldi dei cittadini per spalancare i portafogli degli stessi cittadini, rendendo i prodotti finanziari “adatti” ai risparmiatori e addirittura ai fondi pensione e convogliando il risparmio verso l’industria della difesa. I fondi che emetteranno i prodotti finanziari garantiti da Bruxelles pagheranno le stesse tasse che tartassano l’uomo della strada? Non scherziamo: a farsi avanti per primi sono stati quelli che hanno sede in quella specie di paradiso fiscale che si chiama Lussemburgo. Per questo a pagare dev’essere il cittadino, compreso quello italiano. Che dal governo Meloni si è sentito promettere un sacco di cose, anche la detassazione della tredicesima e il bonus di Natale, magari finanziato dal contributo delle banche. Invece no, perché ci sono 15 miliardi da mettere nel SAFE, come conferma il Documento Programmatico di Bilancio appena trasmesso alla Commissione europea. È la pace, bellezze!L'articolo Da ‘ReArm’ a ‘Preserving Peace’. Il piano di riarmo Ue cambia il pelo ma non il vizio: le mani nelle tasche dei cittadini proviene da Il Fatto Quotidiano.