Libia. L’Ue e i contatti tecnici con Haftar, tra controllo dei flussi e dilemmi morali

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di Giuseppe Gagliano –La notizia che la Commissione europea mantiene da anni contatti tecnici con i rappresentanti dell’Est libico, inclusi gli uomini del generale Khalifa Haftar, conferma un approccio pragmatico dell’UE verso la gestione dei flussi migratori. Funzionari europei e libici si sono incontrati a Bruxelles e alla sede di Frontex a Varsavia per discutere partenze irregolari, sicurezza marittima e cooperazione tecnica. Formalmente si tratta di riunioni non politiche, ma nella realtà questi incontri segnano una fase nuova nei rapporti tra Bruxelles e l’est libico, da anni sotto il controllo militare di Haftar e non riconosciuto a livello internazionale.La Libia resta una delle principali piattaforme di partenza per migranti diretti in Europa. La rotta orientale verso Creta ha registrato un aumento del 280% a settembre rispetto al 2024, con un incremento del 50% nelle partenze su base annua. Per Bruxelles, coinvolgere l’Est libico non è più un’opzione ma una necessità operativa. Haftar controlla porti, basi militari e tratte strategiche, tra cui Tobruk, snodo chiave per le partenze. La brigata Tariq Bin Ziyad, guidata da Saddam Haftar, ha già collaborato con le autorità europee per intercettare imbarcazioni in acque internazionali.L’Est libico non è solo un problema migratorio, ma un nodo geopolitico. Haftar intrattiene rapporti consolidati con Russia, che mantiene una presenza militare nelle basi di Al-Khadim e Tobruk, e con partner regionali come Egitto e Emirati Arabi Uniti. La visita ufficiale di Haftar a Mosca a maggio ha rafforzato il suo ruolo di interlocutore indispensabile per il controllo delle rotte migratorie. L’UE, pur non riconoscendo formalmente il suo governo, di fatto lo considera un attore operativo da coinvolgere.La visita della delegazione libica a Varsavia rappresenta la prima occasione in cui Frontex incontra ufficialmente rappresentanti dell’Est. La Commissione europea, tramite la presidente Ursula von der Leyen, ha chiarito che per contenere i flussi è necessario lavorare “con l’Ovest e con l’Est”. La logica è quella della gestione congiunta delle frontiere esterne, un approccio che riflette la crescente centralità delle politiche di deterrenza migratoria nell’agenda europea.Questa strategia, tuttavia, non è priva di rischi. A luglio, un incontro a Bengasi con il commissario per la Migrazione e alcuni ministri europei è degenerato in un incidente diplomatico: rifiutando di posare per una foto ufficiale con i rappresentanti del governo orientale, la delegazione UE è stata espulsa. L’episodio ha rivelato quanto fragile sia il terreno di questa cooperazione e quanto la sua natura “tecnica” nasconda implicazioni politiche significative.Organizzazioni come Amnesty International denunciano da anni che la cooperazione UE-Libia equivale a complicità in violazioni sistematiche dei diritti umani: torture, detenzioni arbitrarie, respingimenti illegali. L’8 luglio Amnesty ha definito questo approccio “moralmente in bancarotta”, accusando Bruxelles di chiudere gli occhi pur di fermare le partenze. La Commissione replica con richiami formali al rispetto dello Stato di diritto, ma sul terreno la realtà resta drammatica.La decisione di rafforzare i contatti con Haftar riflette il dilemma europeo: da un lato la necessità di ridurre le partenze e controllare le rotte; dall’altro la consapevolezza di legittimare un attore controverso, sostenuto da potenze esterne e accusato di abusi. Bruxelles sceglie la via del pragmatismo, ma lo fa a costo di un compromesso che rischia di minare la sua stessa credibilità in materia di diritti umani e politica estera. In Libia, come altrove, la sicurezza delle frontiere prevale sulla coerenza politica.