di Giuseppe Gagliano –Un’inchiesta scomoda che scuote gli equilibri a Erbil e WashingtonUna causa civile aperta negli Stati Uniti ha gettato nuova luce sui rapporti opachi tra la leadership del Regione del Kurdistan Iracheno e alcuni ambienti di sicurezza e affari americani. A presentarla è stato un ex consulente statunitense, che accusa il primo ministro curdo Masrour Barzani e due suoi fratelli di aver tentato, nel 2022 e nel 2023, di acquistare software di sorveglianza avanzati da società americane e di aver riciclato fondi attraverso investimenti immobiliari negli Stati Uniti. L’azione legale, depositata presso una corte federale, si basa su una serie di documenti interni, testimonianze e transazioni bancarie che ricostruiscono contatti riservati con almeno due aziende legate al settore della cybersecurity e della difesa.Secondo l’accusa, l’operazione sarebbe stata orchestrata dal cerchio ristretto della famiglia Barzani, con l’obiettivo di dotare i servizi di sicurezza curdi di strumenti di sorveglianza elettronica di livello militare, simili a quelli utilizzati da governi e forze armate occidentali. Tali tecnologie, paragonabili per capacità a piattaforme come Pegasus o altri sistemi di intercettazione di nuova generazione, permetterebbero di monitorare comunicazioni criptate, geolocalizzare dispositivi e infiltrare reti di oppositori politici, giornalisti e militanti. La vicenda, se confermata, porrebbe interrogativi delicati: l’acquisizione di tali strumenti richiede licenze e autorizzazioni statunitensi, spesso soggette a rigidi controlli per evitare abusi e violazioni dei diritti umani.La famiglia Barzani è da anni un interlocutore privilegiato per gli Stati Uniti in Iraq. Durante la lotta contro Stato Islamico, i peshmerga curdi hanno ricevuto addestramento, armi e sostegno logistico da Washington. Questo legame strategico ha garantito a Erbil una posizione di autonomia negoziale nei confronti di Baghdad e un canale diretto con i centri di potere statunitensi. L’idea che alcuni esponenti del governo regionale abbiano tentato di sfruttare questi rapporti per ottenere tecnologie di sorveglianza sensibili solleva preoccupazioni all’interno del Congresso americano e tra le agenzie federali preposte al controllo delle esportazioni strategiche.La possibile acquisizione di spyware da parte di Erbil non va letta solo come un’operazione interna, ma come parte di un più ampio quadro geopolitico. Il Kurdistan iracheno si trova stretto tra pressioni di Baghdad, rivalità con gruppi filo-iraniani e la necessità di difendere la propria autonomia politica ed economica. In questo contesto, strumenti di sorveglianza avanzata rappresentano un moltiplicatore di potere: rafforzano la capacità di controllare l’opposizione interna e di gestire i rapporti con attori esterni, inclusi Iran e Turchia. Allo stesso tempo, l’uso di tali strumenti rischia di erodere ulteriormente le libertà civili, già limitate, e di accrescere le tensioni politiche tra le varie fazioni curde.La denuncia americana potrebbe aprire la strada a un’inchiesta più ampia. Secondo i documenti legali, l’ex consulente sostiene di aver partecipato a diversi incontri riservati con emissari curdi in città come Washington, New York e Miami, durante i quali sarebbero stati discussi contratti per l’acquisto di software di spionaggio e per investimenti immobiliari multimilionari in Florida e California. La causa, pur di natura civile, potrebbe attirare l’attenzione del Dipartimento di Giustizia e di quello del Commercio, responsabili del rilascio delle licenze per la vendita di tecnologie dual use.Se le accuse troveranno conferma, il caso rischia di danneggiare profondamente i rapporti tra Washington e Erbil. Gli Stati Uniti si troverebbero nella scomoda posizione di dover indagare su un alleato strategico, mentre Baghdad potrebbe sfruttare la vicenda per delegittimare la leadership curda. L’immagine internazionale del governo regionale ne uscirebbe indebolita, alimentando le tensioni interne e aumentando la pressione dell’opposizione. Al tempo stesso, l’episodio conferma quanto la dimensione digitale e tecnologica sia ormai al centro delle dinamiche di potere in Medio Oriente.