di Guido Keller – In un clima già appesantito da tensioni crescenti tra Washington e le capitali europee, la telefonata intercorsa ieri sera tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e i leader di Francia, Regno Unito e Germania si è trasformata in un confronto tutt’altro che conciliante. Il piano di pace per l’Ucraina, rielaborato da Keir Starmer, Emmanuel Macron e Friedrich Merz sulla base della proposta americana, non ha convinto la Casa Bianca, che ha risposto con un secco altolà.A raccontare l’episodio è stato lo stesso Trump, che ai cronisti ha riferito di aver scambiato “parole piuttosto forti” con i tre leader europei, segno della crescente diversità di opinioni su come porre termine alla guerra in Ucraina, per non dire una vera e propria frattura, come letta da diversi analisti.La Reuters ha riferito che il presidente statunitense ha parlato di “uno scambio vivace” e di pressioni ricevute affinché gli Stati Uniti inviassero una delegazione al vertice europeo previsto entro il fine settimana, alla presenza del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Ma Trump ha tagliato corto: “Gli europei vogliono un summit Ue–Usa–Ucraina nel fine settimana, ma prenderemo una decisione in base alle modifiche del piano. Gli Usa non vogliono perdere tempo”.Il documento rivisto dalle tre cancellerie europee affronta nodi cruciali come il futuro del Donbass e la gestione della centrale nucleare di Zaporizhia (nei 28 punti del piano di Trump sarebbe dovuta essere di gestione Aiea e con la distribuzione dell’energia al 50% tra Russia e Ucraina) ma, per quanto non ancora ufficializzato, si presenta come un bizantinismo che il presidente Usa sa non essere accettabile da parte di Vladimir Putin. Ad esempio la proposta di Trump prevedeva un tetto di 600mila militari per l’esercito ucraino, mentre il piano “europeo” riporta di 800mila uomini, salvo chiedersi chi manterrà tale macchina da guerra dal momento che la sola Germania, che ha oltre il doppio di abitanti dell’Ucraina, fatica a finanziare un esercito da 200mila militari.Il nodi principali restano ovviamente quelli dell’adesione alla Nato e dei territori russofoni del Donbass, ma anche qui la proposta delle tre cancellerie e il contro-contro piano consegnato da Zelensky agli Usa le posizioni continuano ad essere distanti.A causa del visibile disallineamento sembra tuttavia essersi avviata una dinamica più ampia: Washington sta irrigidendo la sua posizione, oscillando sempre più verso un approccio pragmatico che ammicca ad alcune richieste russe, nella convinzione che ciò possa accelerare il raggiungimento di un accordo.La postura americana pesa particolarmente sull’Ucraina, che dopo quattro anni di conflitto e sconfitte ha bisogno di poter rivendicare almeno una vittoria politica. Zelensky è stretto in una morsa: più è costretto a cedere sui territori, più deve ottenere garanzie sulla sicurezza futura, sulle prospettive di adesione a Nato e Ue e su una forma di tutela internazionale approvata dal Congresso Usa.Ma con Trump il margine per trattare sembra assottigliarsi: testare i suoi limiti, avvertono diversi osservatori, potrebbe trasformarsi in un “prendere o lasciare”. Un rischio che in Europa nessuno sembra voler correre.