di Giuseppe Gagliano –Il Ghana decide di entrare nel club del nucleare proprio mentre il continente africano vive un nuovo ciclo di competizione globale, dove l’energia è la moneta più preziosa. Annunciare l’avvio della costruzione di una prima centrale nel 2027 significa, per Accra, voler rompere la dipendenza da un mix energetico fragile, fatto di idroelettrico esposto alle crisi climatiche, centrali termiche onerose e rinnovabili che crescono ma non garantiscono continuità. È una scommessa di sovranità: se funziona, il Paese conquista una base industriale più solida; se fallisce, rischia di rimanere ostaggio proprio di quei partner da cui oggi vuole emanciparsi.L’elenco delle aziende in lizza per aggiudicarsi il progetto ghanese racconta molto più di quanto non dica il comunicato ufficiale. Francia, Stati Uniti, Cina, Corea del Sud e Russia non sono semplici fornitori: sono potenze che usano il nucleare come architrave d’influenza strategica. In Africa questa logica è ormai evidente. La Francia cerca di salvare spazi storici di presenza; gli Stati Uniti inseguono la diplomazia energetica dopo anni di disimpegno; la Cina punta a consolidare la propria leadership infrastrutturale; la Russia attraverso Rosatom costruisce rapporti a lungo termine, spesso in Paesi dove l’Occidente arretra.Per Accra, il rischio è cadere in una dipendenza diversa da quella che si vuole superare: ogni scelta tecnologica determina alleanze durature, standard normativi, formazione di tecnici, accesso ai finanziamenti. Una centrale nucleare non è mai solo un investimento: è un orientamento geopolitico.La visita degli esperti dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica non è un dettaglio tecnico, ma un passaggio politico. Il Ghana vuole accreditarsi come attore responsabile in un settore dove errori o leggerezze possono trasformare un’opportunità di sviluppo in una minaccia nazionale. Il fatto che la missione abbia promosso la qualità del processo di selezione dei siti indica che il Paese si muove con cautela, consapevole di avere gli occhi del mondo addosso.Ma tra standard internazionali e capacità locali esiste una distanza che va colmata: servono istituzioni robuste, un’autorità di regolazione indipendente, personale altamente qualificato. Il nucleare non ammette improvvisazioni, e la governance sarà la vera cartina di tornasole.Il Ghana non è un caso isolato. Dall’Egitto al Ruanda, dalla Nigeria allo Zambia, l’Africa guarda al nucleare come soluzione ai propri deficit energetici cronici. È un segnale della volontà di compiere un salto industriale senza ripercorrere i modelli occidentali ad alta intensità di carbonio. In un continente dove quasi 600 milioni di persone non hanno accesso costante alla luce, l’atomo viene percepito come una scorciatoia possibile.Ma questa corsa non è priva di insidie. Le tecnologie sono costose, i finanziamenti legati a vincoli geopolitici, i progetti complessi. E dietro ogni reattore c’è un Paese che entra nella lunga ombra delle sue stesse scelte.Per il Ghana l’energia nucleare potrebbe rappresentare una diversificazione capace di stabilizzare la crescita, attrarre investitori e sostenere l’industria manifatturiera. Una rete elettrica più affidabile ridurrebbe le perdite economiche dovute ai blackout e all’uso di generatori privati, oggi diffusi in tutto il Paese.Ma non esistono pasti gratis: i costi di avvio possono superare le stime, i ritardi sono quasi fisiologici, i debiti contratti con i partner stranieri rischiano di pesare sui conti pubblici per decenni. L’equilibrio tra benefici e rischi dipenderà dalla qualità dei contratti e dalla capacità del Ghana di non farsi trascinare in un rapporto eccessivamente sbilanciato verso un solo attore globale.La vera partita è la collocazione internazionale. L’Africa è tornata al centro della competizione tra grandi potenze e il nucleare è lo strumento perfetto per consolidare legami duraturi.Se Accra scegliesse Rosatom, si avvicinerebbe al modello egiziano: finanziamenti generosi, tempi rapidi, ma una dipendenza tecnica che può durare quarant’anni.Optare per aziende occidentali significa accedere a standard elevati, ma anche sottoporsi a condizioni stringenti e a costi spesso più elevati.La Cina, infine, offre pacchetti integrati di tecnologia, formazione e crediti, ma espone al rischio di diventare parte di una rete di dipendenze finanziarie difficili da sciogliere.Quando il ministro Sogbadji afferma che il programma nucleare è parte della strategia di transizione energetica, non racconta solo una visione tecnica, ma un progetto politico: trasformare il Ghana in un polo industriale dell’Africa occidentale. Il vero confronto sarà tra ambizione e capacità di gestione, tra investimenti e autonomia, tra sviluppo e vulnerabilità.Il 2027 sarà solo l’inizio. La storia del nucleare ghanese, come quella di molti Paesi emergenti, dipenderà da quanto saprà mantenere il controllo sulle sue scelte in un mondo dove l’energia è sempre più uno strumento di potere.