di Yari Lepre Marrani – Quando nel 2025 il nome di Leone XIV è risuonato dalla loggia di San Pietro, la Chiesa e il mondo intero hanno percepito di trovarsi davanti a un passaggio non solo istituzionale, ma simbolico. Un nuovo pontefice è sempre, in qualche modo, un nuovo linguaggio; ma vi sono momenti storici in cui la transizione diventa un’opera di articolazione, una cesura che richiede di essere compresa con l’attenzione che si riserva alle soglie. La fine del lungo e carismatico pontificato di papa Francesco, con il suo impatto pastorale e mediatico, ha reso la salita al soglio di Leone XIV un atto denso di significati, quasi un test psicologico collettivo sulle aspettative che la contemporaneità nutre verso la figura del papa.Abbiamo il dovere di soffermarci su ciò che accade tra due epoche, non soltanto su ciò che accade dentro un’epoca. E il passaggio tra Francesco e Leone XIV offre esattamente questo: un laboratorio di simboli, emozioni, cambiamenti sottili, in cui si intrecciano teologia, immaginario, geopolitica e psicologia sociale.Un nuovo lessico spirituale: la profondità come categoria.Il primo tratto distintivo del pontificato di Leone XIV è il suo lessico. La sua voce, fin dai primi discorsi, appare avvolta in una calma che evoca la tradizione monastica più che la retorica pastorale. Mentre Francesco aveva trasformato la parola in un ponte, tra centro e periferie, tra istituzione e quotidianità, tra Chiesa e società civile, Leone XIV la trasforma in una sonda. La usa per esplorare, non per conquistare; per interrogare, non per rispondere; per scendere invece che per allargare.Il suo cristianesimo non smentisce quello del predecessore, ma gli offre una dimensione ulteriore. Dove Francesco invitava alla missione e alla prossimità, Leone XIV sembra invitare all’immersione: non una fuga dal mondo, bensì un ritorno al suo nucleo, alla sorgente contemplativa che per secoli ha definito la vita spirituale. L’insistenza sulla preghiera silenziosa, sulla liturgia come luogo formativo e sulla tradizione mistica non segna un arretramento, ma una ricalibratura.Si tratta, a ben vedere, di un passaggio culturale: dalla pastorale narrativa alla pastorale meditativa. Un movimento che la Chiesa non compie per discontinuità, ma per maturazione.L’eredità emotiva: dal calore alla compostezza.Il cambiamento più palpabile, e forse il più immediato per chi osserva da fuori, è quello emotivo. Papa Francesco aveva fatto del contatto diretto, della spontaneità e dell’immediatezza il cuore del suo pontificato. Era un papa che si donava: nel sorriso semplice, nelle parole brevi e incisive, nei gesti improvvisi, cone la telefonata inattesa, la carezza al malato, l’attenzione ai dimenticati, che hanno ridefinito l’empatia papale nel XXI secolo.Leone XIV, invece, presenta un volto emotivo diverso: meno caloroso, ma più tonico; meno espansivo, ma più riflessivo. La sua presenza comunica un senso di centratura, di equilibrio quasi ascetico. Non si tratta di freddezza, ma di un’altra forma di vicinanza: quella che non passa dal gesto immediato, bensì dalla stabilità, dalla continuità interiore, dalla serena compostezza che alcuni fedeli interpretano come un invito alla maturità emotiva.In una società sempre più attratta dalla comunicazione affettiva, questa trasformazione non è neutrale. Essa interpella la Chiesa e il mondo sul ruolo delle emozioni nella leadership spirituale: devono essere condivise? controllate? educate? Leone XIV, in questo senso, sembra proporre una pedagogia emotiva meno viscerale e più contemplativa.Psicologia del ruolo: essere successore senza essere ombra.Ogni nuovo papa deve affrontare la questione dell’eredità: quanto assorbire del predecessore, quanto differenziarsene, quanto reinterpretarne il percorso. Psicologicamente, il pontificato di Leone XIV sembra impostato su un equilibrio studiato. Non cerca la discontinuità radicale, che rischierebbe di trasformarlo in antagonista; non cerca nemmeno l’identificazione completa, che lo renderebbe epigono.Ciò che propone è un esercizio di identità autonoma: un papato che si colloca nel solco di Francesco senza replicarne estetica e linguaggio. È un gesto psicologicamente complesso, perché implica la metabolizzazione di un pontificato molto amato e molto esposto. Ma è anche un gesto culturalmente significativo: suggerisce che la Chiesa vuole continuare il cammino iniziato da Francesco, ma con una postura diversa, forse più adatta alle tensioni del mondo post-2025.La chiave sembra essere la centralità del discernimento: non più e non solo l’azione pastorale verso l’esterno, ma la capacità di leggere i tempi, le persone, le crisi, con lucidità e profondità interiore.Una geopolitica del silenzio: la diplomazia come meditazione.Il piano politico è, come sempre, il più visibile e il più invisibile allo stesso tempo. Con Francesco, la Santa Sede aveva assunto un ruolo profetico: denuncia delle ingiustizie globali, difesa dei migranti, critica frontale del paradigma economico dominante. La sua voce era un megafono morale che risuonava nei vertici internazionali e nei luoghi dimenticati del pianeta.Leone XIV, pur condividendo la sensibilità sociale, sembra voler modulare diversamente la presenza politica del Vaticano. Le sue prime mosse indicano una strategia diplomatica più silenziosa, più artigianale, quasi più “classica”, in cui il dialogo diretto con i leader mondiali, la costruzione di fiducia e la mediazione discreta diventano strumenti centrali.Si può parlare di una geopolitica del silenzio? In un certo senso sì: Leone XIV sembra voler riportare la Santa Sede al ruolo del mediatore nascosto, dell’interlocutore che non denuncia soltanto, ma previene; che non si espone soltanto, ma tesse. Nel mondo multipolare e conflittuale di oggi, questa strategia potrebbe risultare sorprendentemente efficace.Il gesto della soglia: una Chiesa che respira.Il passaggio tra Francesco e Leone XIV non è un semplice cambio della guardia. È un gesto simbolico che dice qualcosa sul modo in cui la Chiesa vive il tempo. Dopo anni di espansione pastorale, di apertura, di contatto diretto, il nuovo pontificato introduce un ritmo più lento, più meditativo, più interno. Non è un ritorno al passato: è una fase ulteriore dello stesso cammino.È come se la Chiesa, dopo aver parlato a lungo e con forza, avesse deciso di ascoltare; come se dopo l’urgenza della profezia volesse ritrovare la pazienza della contemplazione. Questo movimento, nella sua apparente quiete, ha una portata culturale enorme: insegna che il cambiamento, per essere fecondo, ha bisogno di alternanza. Di respiro.La soglia tra i due pontificati non divide: sfuma. E nella sfumatura si rivela uno dei tratti più duraturi della tradizione cattolica: la capacità di trasformarsi senza tradirsi, di cambiare ritmo senza cambiare direzione, di avanzare tanto nell’azione quanto nella profondità.