“Le dichiarazioni di Avola sulle stragi di Capaci e via d’Amelio non riscontrate né attendibili”: il gip archivia l’indagine

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Il racconto di Maurizio Avola sulle stragi di Capaci e di via D’Amelio “non può considerarsi né riscontrato né attendibile”. Lo scrive il giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta, Santi Bologna, nel decreto di archiviazione dell’indagine nata dalle dichiarazioni dell’ex killer del clan Santapaola di Catania. Il gip ha ordinato di archiviare le posizioni di Avola (che potrebbe rischiare un processo per calunnia) e dei tre boss accusati dal pentito: si tratta di Marcello D’Agata, Eugenio Galea e Aldo Ercolano. “Le dichiarazioni eteroaccusatorie di Avola nei confronti degli altri indagati non sono riscontrate”, spiega il gip alla fine di un decreto lungo 126 pagine, in cui sottolinea di volersi occupare solo della “responsabilità degli odierni indagati per le stragi di Capaci e via D’Amelio, rimanendo del tutto estraneo alla valutazione di chi scrive la compiuta verifica dell’esistenza di profili di rilevanza penale per calunnia e/o autocalunnia a carico di Avola e/o di suoi suggeritori”.“Non sappiamo se Avola è eterodiretto”Per ben due volte in passato il procuratore Salvatore de Luca e l’aggiunto Pasquale Pacifico avevano chiesto di archiviare l’inchiesta. Nel 2022, però, il gip aveva rigettato l’istanza, ordinando nuove indagini. “Quanto emerso non può che far propendere per la totale falsità del narrato”, scriveva la procura nelle 42 pagine della richiesta di archivazione depositata nel gennaio scorso, confermando il “sospetto” che Avola potesse “essere eterodiretto”. Una richiesta accolta dal gip Bologna che però sottolinea come “Avola sia stato sottoposto a un’attività di intercettazione lunga e pervasiva, ma le captazioni effettuate non hanno consentito di accertare se e in che misura le sue dichiarazioni siano state etero-dirette”.Avola e Spatuzza, casi diversiIn ogni caso, neanche il gip crede all’ex killer catanese, che si è autoaccusato della strage di via d’Amelio 26 anni dopo l’inizio della sua collaborazione con la giustizia. Il giudice sottolinea la “corposissima attività svolta per cercare di verificare le dichiarazioni di Avola” e che “la ricerca nella verifica del racconto è stata svolta a tutto tondo e tutti i temi di prova che potevano riscontrare, in senso positivo o negativo, sono stati oggetto d’analisi”. In 126 pagine di provvedimento il gip segnala “una serie di elementi che incidono nelle credibilità generale del dichiarante”. E cita, tra gli altri, “la tardività nella scelta di collaborativa” e la “difficile lettura delle motivazioni interne che lo hanno spinto ad aprirsi”. In questo senso il magistrato sottolinea che il caso di Avola è assolutamente diverso da quello di Gaspare Spatuzza, il pentito che ha svelato il depistaggio di via d’Amelio. Il percorso del killer dei fratelli Graviano “è stato certamente sofferto (sul piano intimistico), ma lineare sul piano dell’esternazione. All’opposto, Avola è divenuto collaboratore di giustizia a breve distanza dall’inizio della sua carcerazione cd è uscito dal programma di protezione a causa della commissione di reati. Pertanto, ogni assimilazione tra i due dichiaranti sarebbe priva di senso”.“Racconto totalmente privo di riscontri”Sulle strage di Capaci, rileva il giudice, Avola ha fatto “dichiarazioni generiche, e nessun elemento specifico porta a una sua partecipazione diretta o di altri soggetti catanesi alla fase preparatoria” dell’attentato. Sulla strage di via D’Amelio, invece, il gip osserva che ci “sono molteplici ragioni per cui il narrato di Avola non può considerarsi né riscontrato né attendibile” e in alcuni punti è anche “contraddittorio“. Nel lungo provvedimento, il gip Bologna contesta punto per punto la ricostruzione di Avola sulla sua presunta partecipazione all’attentato del 19 luglio 1992. Tra le contraddizioni segnalate quella sull’identità di chi gli avrebbe portato la ‘convocazione’ di Aldo Ercolano: prima l’ex collaboratore la attribuisce a D’Agata, poi a Carmelo Santocono. Il racconto di Avola, contesta il gip, sarebbe “totalmente privo di riscontri rispetto al furto di un furgone bianco Ducato che si apriva da un lato che si sarebbe dovuto utilizzare come ‘piano B’: uccidere il giudice Paolo Borsellino con le armi in pugno nel caso in cui l’autobomba non fosse esplosa”. Di questo presunto piano B nessun altro collaboratore ha mai riferito. E anche Antonio Vullo, unico sopravvissuto alla strage, ha smentito di aver visto un furgone di quel tipo, quel giorno in via d’Amelio.Il giallo del braccio ingessato alla vigilia della strageIl giudice definisce contraddittorio il racconto di Avola “anche in relazione all’effettuazione o meno di un sopralluogo all’interno di Via Amelio nel 1992”. Durante l’incidente probatorio del 25 giugno, ha dichiarato di averlo effettuato, mentre il giorno successivo ha sostenuto l’esatto opposto. Le dichiarazioni del pentito vengono bocciate anche “in ordine al momento dell’imbottitura della Fiat 126”, usata per uccidere Borsellino. Mentre i racconti relativi al garage di via Villasevaglios, utilizzato per preparare l’autobomba, sono stati “negativamente riscontrati“. Secondo il giudice, inoltre, “il racconto di Avola è poco credibile in relazione agli avvenimenti della mattina di sabato 18 luglio 1992”, cioè alla vigilia della strage, quando viene fermato a Catania, a un posto di blocco, col braccio ingessato. All’inizio il pentito aveva negato, ma poi aveva sostenuto di essersi fatto sostituire il gesso con una fasciatura mobile, che sfilava a suo piacimento. Una versione definita “possibile” dai periti nominati dal gip, ma che i consulenti dei pm consideravano “improbabile”. Il giudice, ovviamente, crede di più alla prima perizia, quella che riteveva “astrattamente possibile in rerum natura che Avola potesse aver svolto le attività da lui riferite”. Nonostante tutto, però, per il giudice “il racconto del dichiarante è poco credibile”. Il motivo? “Se il braccio ingessato era finto”, l’ex collaboratore “lo avrebbe dovuto riferire sin da subito”. Nel decreto di archiviazione, il gip Bologna cita anche alcune dichiarazioni inedite di Avola che accusa sé stesso e Aldo Ercolano di avere ucciso il boss della banda della Magliana, Renato De Pedis e si autoaccusa di avere commesso un omicidio per conto dei servizi segreti italiani. “Trattasi – scrive il giudice – di episodi delittuosi mai riferiti finora e di competenza di altra autorità giudiziario ma il cui tardivo racconto non può essere neutro sul piano della credibilità generale del dichiarante”. Per il gip è improbabile che possa emergere un giudizio diverso da un processo. Avola, infatti, “è stato escusso per due giorni interi nel contraddittorio; pertanto, ad avviso di chi scrive, appare arduo sostenere che sia possibile un mutamento (per di più, in melius) della base probatoria nel futuro dibattimento in ragione di un diverso esito del mezzo di prova già assunto”.L'articolo “Le dichiarazioni di Avola sulle stragi di Capaci e via d’Amelio non riscontrate né attendibili”: il gip archivia l’indagine proviene da Il Fatto Quotidiano.