«Ormai per salire sull’Everest si può andare in un’agenzia di viaggi e comprare un tour. La montagna resta un maestro molto severo, ma il rispetto per lei è diminuito». Sulle tre vittime e i sette dispersi italiani nei monti dell’Himalaya una delle voci più autorevoli è quella di Reinhold Messner, il primo alpinista nella storia a scalare tutti gli Ottomila. L’81enne ha prima espresso il suo cordoglio per le vittime con un post su Instagram, poi in un’intervista concessa al Corriere ha criticato il nuovo sistema-montagna, che sembra premiare un turismo incosciente e non educato ai rischi delle vette: «Non è solo colpa del riscaldamento globale». L’arte della montagna secondo Messner: «Ridurre il rischio il più possibile»Quella dove sono morti Stefano Farronato e Alessandro Caputo è una valle «bellissima», lo ammette anche Messner. Eppure piena di insidie, come tutte le montagne: «Il rischio c’è sempre. Anche l’alpinista tradizionale più esperto andando in montagna accetta i rischi, altrimenti non dovrebbe andare. L’arte dell’andare in montagna è ridurre il più possibile questo rischio. È necessario dire a tutti che la montagna è una dimensione dove c’è il pericolo di morte, e non soltanto sulle cime più alte».Il turismo alpino e l’aumento delle morti: «Sono senza esperienza»Le morti stanno però aumentando esponenzialmente e le vette diventano una meta commerciale: «Non diamo tutta la colpa al riscaldamento globale, anche se è chiaro che è un fattore. Oggi si può andare in un’agenzia di viaggi e comprare un tour per l’Everest, con un passaggio diretto fino al campo base e ritorno. È diminuito molto il rispetto per la montagna, che però resta un maestro molto severo». Un esempio sono le cosiddette “trekking peaks”, vette sotto i 7mila metri che sono accessibili anche da chi non è dotato di una preparazione estrema: «Ci sono gruppi turistici che fanno trekking, fanno una cima normalmente di 6mila metri e poi tornano. Non sono spedizioni in stile alpino. In tutte le stagioni c’è un certo rischio, ma se uno ha molte esperienze può riuscire a escludere quasi tutto».L’importanza della rinuncia: «Metà delle spedizioni le ho interrotte»Parte del lavoro dell’alpinista esperto, anzi, è proprio quella di leggere il meteo e decidere quando è il caso di tornare indietro. «Quasi metà delle mie uscite le ho bloccate a metà strada o poco sotto la vetta perché era troppo pericoloso andare avanti. Solo per salire tutti gli Ottomila ho fatto 31 tentativi, 13 volte ho fallito e sono tornato indietro», ha raccontato Reinhold Messner. E lui di rischi e di perdite in montagna ne sa qualcosa, dato che il fratello Günther è rimasto ucciso da una valanga di ghiaccio in una spedizione sul Nanga Parbat, in Pakistan: «Eravamo alla fine del mondo senza saperlo ed eravamo soli, senza nessuno vicino».Il dolore su Instagram: «Io sono stato fortunato, mi sentivo indomito»«In primo luogo, la mia compassione va alle famiglie. So cosa significa perdere qualcuno, il silenzio che segue, le domande senza risposta, il peso di non poter dire addio», si legge nel post che Messner ha pubblicato su Instagram. «Capisco il fascino delle montagne, la vastità, la solitudine, il senso di libertà che ti fa sentire vivo, indipendente, indomito, guidato solo dalle tue leggi non da quelle che ti vengono imposte. Ma la vita è così: alcuni sono fortunati, altri no. Io sono stato tra i fortunati. Altri no. E in momenti come questi, i miei pensieri tornano sempre a mio fratello Günther». View this post on Instagram A post shared by Reinhold Messner (@reinholdmessner_official)L'articolo Morti e dispersi in Nepal, Messner durissimo: «Oggi per l’Everest basta andare in agenzia viaggi. Io ho interrotto metà delle spedizioni» proviene da Open.