L’Intelligenza Artificiale come nuova frontiera dell’autonomia strategica europea

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Oggi, nel pieno della pervasiva “Rivoluzione dell’Intelligenza”, l’Intelligenza Artificiale trasforma il mondo in cui le società producono, funzionano, decidono e pensano. L’IA però, più di ogni altra componente rivoluzionaria del passato della storia globale, è diventata nuovo terreno di competizione geopolitica capace di ribaltare gerarchie e rapporti di dipendenza, un’infrastruttura di soft power invisibile che orienta decisioni pubbliche, economie e narrazioni comuni. Potenza di calcolo, quantità di dati a disposizione e capacità algoritmica diventano allora misura di forza e controllo, producendo effetti a cascata nei microsistemi sociali dai sistemi di informazione a quelli di sorveglianza, dalle politiche del lavoro alla produzione di conoscenza fino al modo di fare la guerra. Come ogni rivoluzione degna di esser ritenuta tale, però, anche la rivoluzione dell’intelligenza presenta rischi inaggirabili: nel maggio 2023 oltre 350 tra esperti e leader nel settore AI da Geoffrey Hinton, Professore emerito di informatica dell’Università di Toronto, a James Manyika.Senior Vice President per Google-Alphabet e Bill Gates, hanno firmato il “Superintelligence statement”, un appello pubblico promosso dal Center for AI Safety per riconoscere il rischio esistenziale legato allo sviluppo di una AI avanzata, fenomeno da studiare, trattare e a cui reagire alla pari di pericoli globali come pandemie e armi nucleari. Oltre che allarmare circa il pericolo di concentrazione del potere tecnologico e le asimmetrie di potere economico, politico e informativo, l’appello cita anche il pragmatico ed attualissimo problema dell’impatto eocnomico e di destabilizzazione sociale portati dall’automazione massiva e dalla sostituzione del lavoro umano in interi settori. Amazon ha annunciato a fine ottobre il taglio di circa 14mila posti di lavoro nel tentativo di snellire le proprie strutture per consentire processi flessibili e guidati dall’IA. Tra le mansioni più a rischio, quelle che riguardano il linguaggio e il servizio alla clientela (nella top 3 di uno studio di Microsoft figurano infatti interpreti, storici e assistenti passeggeri), mentre i meno vulnerabili sono ruoli di lavoro fisico e operativo specializzato.L’Ue tra ambizione normativa e sovranità incompiuta In questo scenario di rischio e vulnerabilità, l’Unione Europea si trova in una posizione complessa: essa ambisce a diventare prima potenza normativa con, però, una sovranità tecnologica incompiuta. Mentre Cina e Stati Uniti si contendono la leadership dell’AI con investimenti ingenti e strategie industriali integrate e sistemiche, Bruxelles continua a muoversi soprattutto sul campo regolamentare, definendo principi, standard e valori che necessitano però di esser tradotti in termini di capacità di influenza reale.A partire dal primo tentativo di strategia comune tra Commissione e Stati Membri per la promozione della ricerca e uso etico dell’IA nel 2021 con il Coordinated Plan on Artificial Intelligence, passando per il Data Governance Act nel 2023 con la creazione di uno spazio unico europeo per l’uso di dati secondo regole e standard condivisi, fino alla recente entrata in vigore nell’agosto 2024 dell’AI Act, prima legge vincolante per i membri con limiti e tutele basati su un approccio risk-based, l’Ue è emersa per leadership normativa e volontà di costruire un percorso di sviluppo dell’intelligenza artificiale in linea con i principi e valori fondamentali nonché nel rispetto dei diritti umani.Attraverso sforzi condivisi, standard di omogeneità e finanziamenti derivanti dal Digital Europe Programme (Dep) da oltre €7,5 miliardi (2021–2027) e da programmi come Horizon Europe, l’Unione risponde allo “scrumble for AI” con un modello regolatorio, antropocentrico e multilivello, il quale necessita però un salto di pragmaticità sostanziale in un contesto in cui l’AI diventa elemento essenziale di potenza e variabile securitaria, dunque inevitabilmente essenziale per la sovranità e l’autonomia strategica.La sfida dell’influenza tecnologica nei BalcaniIn un tale contesto tecnologico in cui la spazialità sembra perdere importanza a favore della de-territorializzazione, la dimensione geografica è invece fortemente rilevante per avviare riflessioni di sovranità digitale e sicurezza. Il tema assume infatti significato nella regione balcanica, oggi tassello essenziale per l’autonomia strategica dell’Ue, non solo dal punto di vista politico economico e militare, ma anche in chiave tecnologico-digitale. Spazio-cerniera alle porte del continente, la regione si conferma un crocevia strategico della nuova geografia del potere algoritmico: un territorio in cui vive un intreccio di infrastrutture digitali, investimenti, progetti di AI, modelli di governance di dati che riflettono la corsa all’innovazione tra le potenze europea, statinutense, russa, con particolare attrazione e presenza della Cina. Quest’ultima si manifesta infatti attraverso un mix di infrastrutture digitali e strumenti di influenza che va radicandosi: aziende come Huawei, oggetto tra l’altro di restrizioni nell’uso delle sue tecnologie dagli Usa e da altri Paesi europei, hanno realizzato reti 5g, piattaforme di riconoscimento faccale, servizi cloud ma soprattutto sistemi di sorveglianza urbana.Il tanto discusso “Safe City” implemementato a  Belgrado, progetto annunciato per la prima volta nel 2017, prevedeva l’installazione di 1000 telecamere di sorveglianza dotate di software di intelligenza artificiale per il riconoscimento facciale, poi seguito da un contratto del 2024 per espandere il sistema eLTE, utilizzato per la trasmissione protetta di dati video, dati di sorveglianza, comandi operativi e che funge da spina dorsale della struttura di sorveglianza.Il rafforzamento di questa e di simili tecnologie allarmano circa l’utilizzo improprio volto al rafforzamento della leadership autoritaria, come già sollevato in seguito alle denunce di tracciamento di attivisti e manifestanti in Serbia, nonché circa un incremento della subdola influenza di Pechino nell’area.A differenza della Serbia, Albania, Kosovo e Macedonia del Nord hanno adottato un approccio più cauto nei confronti della cosiddetta Via della Seta Digitale (Dsr) cinese. Attraverso la loro membership alla Clean Network Initiative a guida statunitense, infatti, sono parte di un’iniziativa che mira a contrastare le minacce a lungo termine alla privacy, sicurezza e diritti umani derivanti da infrastrutture ad alto rischio, in particolare quelle cinesi. Essa promuove quindi l’adozione di reti pulite e senza componenti tecnologiche e fornitori considerati non affidabili.Caso unico è poi la Bosnia, il cui rapporto con la Cina anche in ambito tecnologico dipende dalla sua complessa struttura politica: mentre la Federazione di Bosnia ed Erzegovina è strettamente allineata all’Ue, la Repubblica Serba coltiva un rapporto più profondo con Pechino e la forte presenza di Huawei ne amplia l’influenza, creando frammentazione. Accanto alle infrastrutture fisiche, poi, la Cina ha promosso programmi educativi e di formazione tecnica come la Ict Academy di Belgrado per orientare verso modelli di governance digitale secondo le sue narrazioni e visioni, esportando un modello politico-tecnologico a tuttotondo incentrato sulla centralizzazione dei dati creando una concreta alternativa alla logica normativa europea.Verso una strategia europea inclusiva: la proiezione di soft power digitaleSe all’interno dell’Unione vige quindi un quadro normativo forte, seppur bisognoso di dimensione operativa e pragmatica per un’applicazione sostanziale, consente protezione dei dati, trasparenza e responsabilità. Queste regole, oltre che essere implementate a diverse velocità dagli Stati membri, confliggono con i modelli di governance in crescita nei Paesi vicini e candidati, creando un vuoto normativo che lascia spazio a infiltrazioni di approcci concorrenti come quello cinese nella zona grigia balcanica.Urge allora una strategia europea che includa negli sforzi in materia di politica di difesa e sicurezza anche questa dimensione digitale, forse più subdola e latente ma ugualmente incidente. Occorre quindi una formula che consenta all’Ue di proiettare il proprio soft power tecnologico anche al di fuori dei propri confini e ai Paesi che aspirano a far parte dell’Unione, consentendo di attutire un rischio strategico concreto dato dalla vulnerabilità e dalla dipendenza da infrastrutture esterne che minano il tanto tutelato tessuto digitale comunitario. Includere l’area balcanica in questo spazio significherebbe agire su più fronti attraverso investimenti, regolamentazione, formazione e sensibilizzazione nonché cooperazione: la creazione di reti cloud europee come Gaia-X e la loro estensione alla regione, la condizionalità degli standard tecnologici  di IA, data governance e cyber security nei percorsi di adesione, l’implementazione di partnership scientifiche e programmi di cooperazione e interoperabilità potrebbero essere soluzioni che, insieme, consentirebbero a Bruxelles di intessere una struttura di influenza reale, consolidando la propria presenza e garantendo la propria sovranità e autonomia digitale entro i propri confini, creando una zona cuscinetto di proiezione.La questione della sovranità digitale dimostra allora quanto oggi la sicurezza europea non si declini solo in termini eminemente militari e di difesa, bensì essa assume forme molteplici e intangibili. L’intelligenza artificiale è infatti la nuova frontiera del potere e della forza, poiché chi la controlla e chi ne controlla i flussi può orientare percezioni, decisioni ma anche scardinare equilibri e relazioni di dipendenza che sul piano tecnologico restano labili e in costante via di definizione. In questa partita l’Ue deve saper agire anche al di fuori dei propri confini concreti, affermandosi nello spazio digitale non solo come potenza normativa ma proiettando assertivamente deterrenza e capacità operativa al fine di competere con modelli tecnologici esterni e consolidare la propria influenza strategica. La sfida europea all’IA è allora una sfida multiforme che mette insieme riflessioni concrete e capacitive che si fondano però su resposnabilità e visione etica. Poiché la vera prova del progresso non è la velocità con cui ci muoviamo, ma la saggezza con cui guidiamo. L’Europa potrebbe avere le carte in tavola per incarnare questa machiavellica saggezza.