Usa. Trump e l’Asia Centrale: la nuova diplomazia dei minerali strategici

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di Giuseppe Gagliano – Il recente vertice ospitato da Donald Trump alla Casa Bianca con i leader di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan segna un cambio di passo nella politica estera statunitense. Per Washington, i minerali critici sono diventati il nuovo petrolio: risorse strategiche che determineranno la potenza industriale, la capacità militare e l’autonomia tecnologica delle nazioni nel XXI secolo.L’incontro del 6 novembre, tenutosi nell’ambito della piattaforma C5+1, ha riaffermato la volontà degli Stati Uniti di riaffermare la propria influenza in una regione tradizionalmente sotto l’orbita russa e sempre più intrecciata con le reti economiche della Cina. Trump ha definito l’Asia Centrale “una regione estremamente ricca” e ha presentato un piano per assicurare agli Stati Uniti l’accesso a uranio, rame, terre rare e tungsteno, cioè materiali fondamentali per l’energia pulita, i veicoli elettrici e le tecnologie della difesa.Il contesto è chiaro: la guerra economica globale per il controllo delle risorse strategiche si sta intensificando. Cina e Russia dominano le catene di approvvigionamento di metalli critici, dal titanio al litio, mentre gli Stati Uniti cercano nuove rotte e nuovi alleati per ridurre la dipendenza da Pechino. Il Kazakistan e l’Uzbekistan, che insieme producono oltre la metà dell’uranio mondiale, rappresentano per Washington un partner vitale: nel 2024, il solo Kazakistan ha fornito quasi il 40% della produzione globale, mentre la Russia copre ancora il 20% delle importazioni americane.Durante il vertice sono stati annunciati numerosi accordi. Boeing venderà fino a 37 aerei alle compagnie di Kazakistan, Tagikistan e Uzbekistan, mentre la società statunitense Cove Capital, con finanziamenti garantiti dal governo americano, avvierà l’estrazione di tungsteno in Kazakistan. Trump ha anche rivelato che l’Uzbekistan investirà oltre 100 miliardi di dollari in settori chiave negli Stati Uniti, tra cui minerali strategici, componentistica automobilistica e aviazione.Il passo più simbolico è arrivato da Nursultan: il Kazakistan ha aderito agli Accordi di Abramo, normalizzando le relazioni con Israele. Un gesto che intreccia diplomazia e strategia, rafforzando il legame tra la nuova alleanza mineraria e la rete di normalizzazione tra Israele e i Paesi musulmani sostenuta da Washington.Secondo Gracelin Baskaran, direttrice del Center for Strategic and International Studies, l’amministrazione americana intende “costruire un impegno che unisca governo e business, garantendo accesso diretto ai minerali vitali”. In altre parole, non si tratta solo di risorse, ma di influenza geopolitica: chi controlla le materie prime critiche controllerà anche le tecnologie del futuro.Trump mira a trasformare l’Asia Centrale in un bastione economico occidentale nel cuore dell’Eurasia, indebolendo il duopolio russo-cinese e assicurando agli Stati Uniti una posizione di vantaggio nella transizione energetica globale. Ma la sfida non sarà solo economica: richiederà stabilità politica, investimenti a lungo termine e una capacità diplomatica che gli Stati Uniti, negli ultimi decenni, hanno spesso sottovalutato.Nel “grande gioco” del XXI secolo, le miniere sostituiscono i pozzi di petrolio, le catene di approvvigionamento prendono il posto dei gasdotti e la potenza non si misura più con le basi militari, ma con i contratti industriali.La guerra per i minerali strategici non è soltanto economica: è il nuovo disegno geopolitico del mondo che verrà.