Federica Pellegrini e Matteo Giunta si raccontano. Il rischio della depressione post partum, lei: «Piangevo tutte le sere: non ne capivo il motivo»

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Federica Pellegrini, campionessa olimpica di nuoto e Matteo Giunta, ex atleta, suo allenatore e ora suo marito, si raccontano al Corriere della Sera, in un’intervista doppia. Dopo l’arrivo della loro figlia Matilde i due hanno scritto un libro, In un tempo solo nostro.Pellegrini: «Da veneta, per farlo cedere, ho puntato sull’alcol»Federica ha conosciuto Matteo come coach anche se «lui se l’è tirata tantissimo! Ma tanto!». «Quando io lavoro ho il paraocchi: il rapporto allenatore-atleta è inscalfibile, non si può in nessun modo andare in altre direzioni. Diciamo che la mia capacità un po’ è stata scalfita pesantemente da questi continui assalti…», confessa lui. Il primo bacio, ad Halloween, in una festa. «Io sono veneta, figlia di un barman, lui è di Pesaro… Sapevo che la sua base alcolica non era proprio così solida come la mia, quindi ho puntato su quello… (La Pellegrini sorride)». Giunta aggiunge: «Per mantenere la nostra storia riservata, mi nascondevo nel bagagliaio. Per fortuna la macchina era grande, ma io sono alto un metro e 94; così mi è venuta la sciatica».La bulimia, la risalitaIn questa intervista Federica Pellegrini si racconta, anche nelle sue fragilità: «Ho attraversato momenti molto difficili. Sono andata via di casa dopo l’Olimpiade di Atene, a sedici anni. Vivevo a Milano con altre tre ragazze, lontano dalla mia famiglia. Mi sentivo sola, e lo ero. Qualsiasi cosa facessi ero sulla bocca di tutti, vivevo in costume, avevo i miei sbalzi ormonali, che la testa ingigantiva, e che la gente percepiva. Così sono diventata bulimica. Per fortuna sono sempre stata una persona molto introspettiva; quando ho capito che quello che stavo facendo a me stessa non andava bene e mi danneggiava a livello sportivo, è cominciata la risalita». Pesa di più il giudizio femminile. «Noi donne siamo peggio degli uomini». «Tutti questi problemi – aggiunge Giunta – si possono evitare se si è seguiti da uno specialista fin dall’adolescenza. Nella nostra Academy abbiamo uno psicologo dello sport per far capire ai ragazzi che ci sono gli strumenti per affrontare le ansie e le paure. A cominciare dalla paura di fallire. Di perdere». «Ma io la paura di fallire, anche solo verso me stessa, l’ho avuta fino all’ultima gara che ho fatto. Così per non fallire mettevo il 110%», spiega lei. L’arrivo, non facile, di MatildeMatilde, spiega Pellegrini, «ci ha messo un po’ ad arrivare». «Quando ci provi e ci metti qualche mese in più di quello che ti sei messo in testa sembra che non arrivi mai. La genitorialità è un percorso molto potente. Dall’inizio fino ad adesso, che Matilde ha quasi due anni, mi hanno detto: sarà sempre più complicato. Però è stato bello, molto. Non sempre facile, anche tra di noi: la psicologia maschile e femminile seguono due vie parallele, non si incontrano mai. È tosta», racconta. La bimba ha il nome della bisnonna materna. «La nonna di mio padre, morta a 103 anni. Papà mi raccontava di questa donna molto forte, indipendente, centrale nella famiglia. Una matriarca. Me la ricordo anch’io. Per me è stata una figura importante; per questo il suo nome mi piaceva. Ho chiesto a Matteo se piaceva anche a lui, e mi ha detto di sì», racconta. E ricorda il parto, difficile. «Difficilissimo. Forse è quello che ha innescato i problemi venuti dopo. Sono state 48 ore di follia. Adesso ci rido su. Matteo è sempre stato con me, è stato incredibile il suo supporto. Ho avuto contrazioni molto forti. Dovevano essere quelle di preparazione, però erano già molto dolorose. Questa cosa mi sembrava stranissima, perché ho una tolleranza del dolore abbastanza alta». Nel libro racconta di aver provato prima il parto in acqua, poi l’epidurale, infine il cesareo d’urgenza. «A un certo punto si è perso il battito della bambina. E il chirurgo ci ha detto: non ha senso aspettare, andiamo in sala operatoria. Sono stati due giorni veramente “interessanti”. Ti prepari a tutto, perché abbiamo fatto il corso preparto insieme; però che accada tutto, e tutto insieme, non lo pensi mai. Avevamo al fianco un super team, per fortuna. La nostra preoccupazione era solo ed esclusivamente legata alla bambina», ha raccontato l’ex nuotatrice.Il “baby blues”«Sono stata vicina alla depressione. Credo – ha raccontato Pellegrini – sia iniziato tutto da un parto così complicato: quando ho preso la bambina in braccio ero già stanchissima. È stato un accumulo di stanchezza. Quindi i primi due mesi sono stati molto difficili. La prima notte in ospedale, guardando mia mamma, mi sono messa a piangere. Non so perché stessi piangendo, e questa cosa si è protratta nel tempo: sempre la sera, sempre a un certo orario, con accensioni che non capivo neanche da dove venissero. A un certo punto scoppiavo in un pianto dirotto, e non sapevo perché. Poi abbiamo scoperto che era questo “baby blues”, che per fortuna non è mai sfociato in una depressione post partum, ma è appena un gradino sotto. Anche gestire questa cosa non è stato facile. Per fortuna non ho vissuto uno degli effetti della depressione: il rifiuto di mia figlia. Anzi, allattare mi faceva stare meglio; anche se aggiungeva altra fatica. E poi Matilde nei primi due mesi non ha mai avuto sonno».L'articolo Federica Pellegrini e Matteo Giunta si raccontano. Il rischio della depressione post partum, lei: «Piangevo tutte le sere: non ne capivo il motivo» proviene da Open.