Messico.Uruapan, il giorno in cui lo Stato ha perso il controllo

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di Giovanni Migotto – Lo scorso 2 novembre, durante le celebrazioni del Día de Muertos nella città di Uruapan, nello stato messicano di Michoacán, il sindaco Carlos Alberto Manzo Rodríguez è stato assassinato a colpi di arma da fuoco mentre partecipava a un evento pubblico. L’attacco, avvenuto in pieno giorno davanti a decine di persone, ha profondamente sconvolto il paese e rilanciato l’allarme sulla crescente vulnerabilità delle istituzioni locali messicane di fronte alla violenza dei cartelli della droga, come testimoniato anche dalla diffusione virale sui social network dell’hashtag #JusticiaParaManzo.Manzo rappresentava quella parte della popolazione messicana che tenta di opporsi, con coraggio e determinazione, al crimine organizzato. Era diventato uno dei simboli della resistenza civica contro la logica della paura imposta dai cartelli. Negli ultimi mesi aveva denunciato pubblicamente le minacce che egli stesso aveva ricevuto e aveva chiesto al governo federale di Città del Messico un rafforzamento delle misure di sicurezza a Uruapan, una delle aree più colpite dalla violenza legata al narcotraffico nel sud-ovest del paese.Secondo la Secretaría de Seguridad y Protección Ciudadana, gli erano stati assegnati diversi agenti di polizia municipale e 14 ufficiali della Guardia Nazionale, ma ciò non è bastato a salvarlo. Le indagini iniziali hanno portato sinora all’identificazione di un sospetto: Víctor Manuel Ubaldo Vidales, 17 anni, originario di una comunità rurale e affiliato a una cellula criminale locale. I test balistici collegano l’arma dell’omicidio ad altri episodi riconducibili a bande locali associate al Cártel Jalisco Nueva Generación (CJNG).La presidente Claudia Sheinbaum Pardo ha definito l’attacco “un crimine atroce che non resterà impunito”, promettendo l’invio di ulteriori forze federali a Uruapan. Ma il significato politico dell’assassinio va ben oltre la cronaca: Manzo era il rappresentante di un’amministrazione autonoma e civica che cercava di resistere all’egemonia dei cartelli. La sua figura, estranea alle élite di partito, si era imposta come esempio di buon governo locale in un contesto segnato da corruzione e intimidazione. Il suo omicidio dunque appare come un messaggio diretto allo Stato messicano e alla società civile: in vaste aree del territorio nazionale, l’autorità dello Stato continua a essere sfidata, delegittimata e spesso sostituita dal potere del crimine organizzato.Uruapan si trova nel cuore di una regione strategica per la produzione e l’export di avocado e limone verso gli Stati Uniti: un settore miliardario, oggi epicentro dello scontro tra il CJNG e le bande locali dei Viagras, che impongono tasse informali a produttori e trasportatori, estorcendo loro denaro. La dipendenza dai fondi federali e la scarsa autonomia fiscale rendono i municipi vulnerabili alla cooptazione criminale, fino a situazioni in cui i cartelli sostituiscono le istituzioni, dettando le proprie regole economiche e di sicurezza. In questo sistema ibrido di poteri, Manzo era una minaccia politica per il crimine organizzato: un sindaco che difendeva la trasparenza e il controllo civico delle risorse locali e che per ciò era diventato bersaglio di molti.L’assassinio di Manzo conferma un dato ormai acclarato: i governi municipali sono l’anello debole della sicurezza nazionale messicana. In molte aree rurali e semi-urbane, i sindaci operano in condizioni di isolamento, privi di risorse e protezione. Spesso sono costretti così a negoziare con gruppi criminali che controllano commercio, logistica, estrazione di risorse e, talvolta, anche la riscossione di imposte informali. Secondo un’inchiesta di Amapola Periodismo (novembre 2025) in circa 9 anni sono stati assassinati 106 sindaci ed ex-sindaci in Messico, con un totale di 691 aggressioni documentate contro autorità municipali, in particolare negli stati di Michoacán, Oaxaca e Guerrero. Questo fenomeno mostra come la violenza non colpisca più ai margini del sistema politico, ma al suo cuore, minando la rappresentanza democratica e la fiducia nelle istituzioni.Il killer di Manzo, un adolescente, rappresenta un simbolo della situazione attuale interna del Messico: la militarizzazione della povertà giovanile, in cui i minori diventano manodopera armata per i cartelli, attratti da denaro, status e impunità.Dal 2006, con l’avvio della cosiddetta “guerra ai narcos” dell’ex presidente Felipe de Jesús Calderón Hinojosa, il Messico ha intrapreso una strategia di militarizzazione della sicurezza pubblica. Tuttavia, la presenza delle forze armate è aumentata, ma la violenza non è diminuita. Secondo l’Instituto Nacional de Estadística y Geografía (INEGI), nel 2024 il tasso di omicidi in Messico restava superiore a 24 per 100mila abitanti, tra i più alti del continente. La risposta militare, seppur necessaria, non ha prodotto risultati strutturali. La violenza si è frammentata, la corruzione si è radicata e la fiducia nello Stato è crollata.La presidente Sheinbaum, erede politica di Andrés Manuel López Obrador, ha costruito la propria narrativa sulla promessa di “pacificare il paese”. Ma, secondo recenti rilevazioni nazionali, il 63% dei messicani ritiene che il governo stia perdendo il controllo della sicurezza locale. Le manifestazioni spontanee in tutto il paese testimoniano una crescente disillusione popolare verso uno Stato percepito come impotente o colluso.La crisi messicana non si esaurisce tuttavia nei confini nazionali. Per gli Stati Uniti, la violenza in Michoacán e nel sud-ovest rappresenta una minaccia diretta alla sicurezza e all’economia nordamericana, essendo il Messico suo principale partner commerciale. L’amministrazione Trump, nel suo secondo mandato (2025-2029), ha espresso “preoccupazione crescente” per la diffusione di metanfetamine e fentanil provenienti dal Messico e per l’impatto della violenza sulle catene di approvvigionamento dell’USMCA, l’accordo commerciale che lega dal 2020 in un’area di libero scambio Messico, Stati Uniti e Canada. Secondo diversi analisti — tra cui Eduardo Guerrero e l’International Crisis Group — si potrebbe verificare nel paese quello che si potrebbe definire un possibile processo di “colombianizzazione” del conflitto messicano: frammentazione del potere criminale, scontri tra gruppi armati regionali, cooptazione delle amministrazioni locali e crescente ruolo di Washington nelle politiche di sicurezza. Tuttavia, a differenza della Colombia degli anni Novanta, il Messico dispone di un’economia fortemente integrata con quella statunitense e di una società civile più dinamica, elementi che, almeno per ora, limitano il rischio di collasso statale. La chiave della stabilità risiederà nella capacità del governo federale di rafforzare le amministrazioni locali e spezzare l’isolamento istituzionale dei municipi.L’assassinio di Carlos Manzo non rappresenta solo un episodio di cronaca nera, ma un punto di svolta che mette a nudo la crisi di sovranità territoriale del Messico. Dietro la violenza si cela la contraddizione strutturale di uno Stato formalmente democratico ma frammentato al suo interno, dove ampie porzioni del territorio sono controllate da poteri alternativi che spesso esercitano un’autorità più effettiva di quella statale. La vulnerabilità generale attuale ha trasformato un problema di ordine pubblico in una questione di sicurezza nazionale. Finché lo Stato non riuscirà a costruire un sistema di protezione multilivello per i suoi rappresentanti locali e a ridurre la dipendenza economica e coercitiva dai cartelli, ogni riforma di sicurezza rischierà di restare puramente simbolica. La sfida per Sheinbaum è chiara: superare la logica della militarizzazione, investendo in giustizia locale, sviluppo territoriale e controllo delle filiere economiche strategiche. Solo un equilibrio tra sicurezza, autonomia municipale e responsabilità internazionale potrà restituire al Messico una sovranità piena e sostenibile. In caso contrario, il Paese rischierà di rimanere intrappolato in quella che molti studiosi definiscono la sua “trappola geopolitica”: una democrazia formale priva di controllo effettivo sul proprio territorio. Il caso Manzo, in questa prospettiva, non è una fine ma un segnale d’allarme: un avvertimento per un paese sospeso tra la paura e la speranza di riprendersi la propria sovranità.