Non la separazione delle carriere: il vero cavallo di Troia di Nordio è l’Alta Corte disciplinare

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L’asse del referendum confermativo non è, malgrado la retorica da comizio, la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri: quella è una scelta politicamente divisiva ma concettualmente chiara, da anni oggetto di confronto dottrinale e comparato, con argomenti seri su entrambi i fronti; il vero punto critico, quello che può alterare in profondità la fisionomia costituzionale della giurisdizione, è l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare, perché lì si decide chi, come e con quali garanzie potrà giudicare i magistrati, e dunque quanto fragile o resistente sarà l’indipendenza effettiva dei giudici rispetto al potere politico.Spostare la giurisdizione disciplinare fuori dal CSM e affidarla a un organo ad hoc non è di per sé un’eresia: in astratto può persino apparire un progresso, se immaginato come giudice terzo, tecnicamente attrezzato, con composizione mista bilanciata, standard motivazionali elevati, pubblicità delle decisioni, parametri chiari di proporzionalità delle sanzioni, controllo di legittimità pieno e mandati non rinnovabili sganciati dai cicli della maggioranza di governo. In questa versione ideale, l’Alta Corte ridurrebbe il sospetto di corporativismo, garantirebbe una giurisprudenza disciplinare coerente, rafforzerebbe la fiducia dei cittadini mostrando che chi sbaglia paga, senza colpire chi decide in scienza e coscienza su terreni sensibili.Ma il progetto reale si gioca sui dettagli che il dibattito pubblico sta colpevolmente schiacciando sotto la parola d’ordine “separazione”: chi nomina i componenti dell’Alta Corte, con quali maggioranze, con quali filtri, con quali incompatibilità effettive rispetto a partiti, governi, strutture di influenza organizzata; quali sono i meccanismi di astensione e ricusazione, come si evita che la scelta cada su profili organici alle stesse filiere di potere che la giurisdizione deve poter controllare; che rapporto c’è tra Alta Corte e CSM in tema di valutazioni di professionalità, trasferimenti, conferimenti di incarichi direttivi? Perché se le leve organizzative restano condizionate mentre la leva disciplinare viene accentrata in un organo potenzialmente esposto alla maggioranza politica, il combinato disposto può produrre un effetto di pressione sistemica ben più incisivo di qualsiasi slogan sulla “fine delle correnti”.La domanda che il referendum pone, al di là degli slogan, e che andrebbe chiarita in maniera solare al cittadino votante, è se l’Alta Corte sarà strutturata secondo tre test minimi: indipendenza, efficienza garantita, proporzionalità controllabile.Indipendenza significa modalità di scelta non monopolizzate dalla maggioranza, partecipazione di più soggetti istituzionali, criteri di merito verificabili, divieti rigorosi di incarichi politici e consulenze sensibili, mandati lunghi ma non rinnovabili, non coincidenti con la legislatura; efficienza garantita significa tempi certi senza sacrificare il contraddittorio, istruttorie tracciabili, udienze tendenzialmente pubbliche, pubblicazione integrale delle decisioni, filtri seri per le denunce temerarie; proporzionalità controllabile significa tipizzazione chiara degli illeciti disciplinari, griglie sanzionatorie trasparenti, possibilità effettiva di sindacare in sede di legittimità l’equilibrio tra fatti accertati e sanzione irrogata, in modo che nessun giudice venga colpito per la sostanza delle sue decisioni e nessun comportamento gravemente lesivo resti coperto da opacità o indulgenza selettiva.Se questi tre test non sono soddisfatti nella concreta architettura dell’Alta Corte, il rischio non è teorico: la funzione disciplinare diventa un luogo di torsione istituzionale dove la politica può premiare e punire, dove i casi simbolici vengono usati come messaggi al corpo giudiziario, dove l’indipendenza si logora non con un editto, ma con la minaccia sottile di un procedimento che può colpire chi tocca nervi scoperti del sistema.È per questo che concentrare la campagna referendaria sulla formula “separazione delle carriere sì/no” è una semplificazione comoda e fuorviante: si può essere favorevoli o contrari alla separazione per ragioni serie, ma il quesito davvero dirimente, per chi ha a cuore lo Stato di diritto, è se accettiamo di introdurre un giudice disciplinare di vertice senza blindare fino in fondo le sue condizioni di indipendenza. Nel voto referendario non si misurerà solo l’assetto organizzativo della magistratura, si misurerà la capacità dei cittadini di riconoscere che il vero snodo non è dove il dibattito urla, ma dove il silenzio agisce e in silenzio si decide a chi si consegnerà la chiave che può aprire o chiudere lo spazio di libertà della giurisdizione.Ad oggi il legislatore ha lasciato questo spazio assai opaco e fumoso. Occorrerà, al contrario, averlo spiegato ben chiaro prima di votare.L'articolo Non la separazione delle carriere: il vero cavallo di Troia di Nordio è l’Alta Corte disciplinare proviene da Il Fatto Quotidiano.