“Una parte del pubblico non se ne accorge, e non vede arrivare i nuovi fenomeni. Altri hanno competenze e passione per le nicchie: ma la maggior parte sembra seguire solo ciò che supera la soglia dell’attenzione nell’era post digitale – ovvero prodotti mainstream”: ecco, potrebbe bastare questa frase qua. È sempre acuto Dino Lupelli, oggi direttore generale di Music Innovation Hub ma comunque sempre e per sempre la persona che ha dato vita a Linecheck, oltre un decennio fa, e lo ha fortissimamente voluto. Una di quelle persone con cui è bello confrontarsi e che, soprattutto, sa essere testardo e insistere a nuotare controcorrente in una fase storica dell’industria discografica – indie o mainstream che sia, underground o commerciale che sia – dove il profumo dei soldi e dei numeri fa nuotare sempre meno controcorrente, e dove alla testardaggine ed alle idee troppo spesso si sostituisce la strategia. È incredibile quanto Linecheck non sia strategico: esiste da undici edizioni, è nato quando l’industria musicale italiana soprattutto indipendente e capace di pensare lateralmente faceva ancora fatica, ora che ha avuto – grazie alla spinta del comparto dei live, ma non solo – una grande spinta verso l’alto e verso il “salotto buono”, e che molti “pensatori laterali” hanno trovato modo presso le major, presso i team degli artisti, presso i brandi, persino presso le istituzioni di valorizzare le loro competenze, Linecheck non è lì a raccogliere, non è lì a fare business a proprio vantaggio, a proprio cinico, pragmatico vantaggio. (Non solo concerti, anche workshop, anche ascolto; continua sotto)Non lo è perché non è nel suo DNA. Non lo è già altrove, verso nuove sfide. In tal senso, è molto interessante quanto ci ha raccontato Sarah Parisio, che di Music Innovation Hub è project manager e che per Linecheck si smazza una quantità incredibile di compiti e di seccature, parlando così a una settimana dall’apertura dell’edizione 2025: “Oggi parlare di musica “militante” significa interrogarsi sul modo in cui la musica può ancora generare cambiamento reale. Forse non esiste più una contrapposizione netta tra “industria” e “resistenza”: esiste piuttosto una zona ibrida, dove artistə, curatori e comunità provano a usare le stesse strutture del sistema per immaginare alternative. La militanza non è più solo nel messaggio esplicito o nel testo di una canzone, ma nel processo: nel modo in cui si produce, si collabora, si condivide. In questo senso, la musica rimane un linguaggio politico perché crea spazi di relazione: spazi in cui si ascolta, si costruisce fiducia, si dà voce a chi non ce l’ha. Anche dentro i circuiti globali, la sua forza è la capacità di tenere insieme corpi e immaginari diversi, di restituire alla collettività un’esperienza emotiva che non è solo consumo. Forse la vera militanza oggi è questa: usare il suono per immaginare nuove forme di convivenza, in un mondo che tende sempre più alla frammentazione”.Le parole di Sarah sono un modo da un lato per analizzare il presente, dall’altro per alzare il livello della sfida – rispetto proprio a questo presente. Sotto certi punti di vista infatti molte nuove “realtà” della musica hanno imparato ad essere visibili ed a stare nel mercato, nell’ultimo decennio; ma quante hanno perso di vista significati più sostanziali e profondi, pensando invece solo al consumo di quello che da loro è offerto&prodotto?E poi ancora, l’altra sfida esiziale è quella dell’estero. Abbiamo fatto passi da gigante, rispetto al (quasi) nulla di un po’ di anni fa, noi italiani, come ecosistema musicale, rispetto al globo. C’è stata la bella idea e l’ottima attività negli anni partendo da zero di Italia Music Export, che è stata però praticamente “ammazzata” dalla stessa realtà che le ha dato vita, la SIAE. C’è stata molta più consapevolezza da parte di singole etichette e singoli management. Ma è tutto ancora poco, troppo poco. In Italia non siamo ancora abituati a pensare in modo sistemico tramite network internazionali (artistici, culturali o anche politico-amministrativi che siano). Spesso pensiamo o all’Inghilterra ed agli Stati Uniti (dove quasi sempre siamo pesci troppo piccoli per avere una cittadinanza in qualsivoglia stagno), qualcuno ogni tanto ce la fa in Francia (ma perché i francesi sono ricettivi), ma per il resto c’è un misto di dimenticanza e scetticismo verso uno scenario che possa essere di networking europeo sistemico, sistematico. Un po’ anche per complesso di superiorità, eh: pensiamo che in Europa in fondo non accada nulla di così interessante, mica è New York!, mica è Londra!, mica è Los Angeles!, mica è Berlino!, ma in realtà ci sono tanti nuclei battaglieri e spesso illuminati – quanto ci siamo trovati bene a Tallinn, per dire – dove la musica a trecentosessanta gradi è vista come valore, come lavoro, come professione, come incubatore di talenti, di professionalità, di profitti. E questo senza per forza (s)vendersi al primo offerente, al primo brand, ma mantenendo l’orgoglio di essere artisti e/o lavorare per l’arte e la creatività. (Il network paneuropeo di Reset!, presenza abituale ormai a Linecheck, è sempre una risorsa preziosa di contatti, di idee e di spunti; continua sotto)Ecco, su questa cosa da qualche anno Linecheck punta molto. Visitarlo nei giorni in cui si svolge a Milano a BASE è entrare in contatto con molte cellule di questo tipo, con molte associazioni transnazionali, con molti professionisti di provenienza che non è la “solita”, con molte best practices che con un po’ di sforzo potrebbero essere esportabili anche da noi. Poi per carità c’è la musica, non è che non ci sia. Ma una volta all’anno, almeno una sana maledetta volta all’anno è sano guardare ad un evento non prima di tutto per la line up musicale – che comunque deve essere fatta a modo, e a Linecheck lo è, basta guardare i nomi, dove c’è ricerca vera – quanto invece per i contenuti che offre fra panel, talk, workshop, confronti, incontri b2b. No? E visto che Linecheck si svolge tradizionalmente quando si dipana la Milano Music Week, una creatura che ormai si è irrobustita a dovere ed è iniziata ad essere un evento che davvero avvolge e travolge la città della Madonnina con mille eventi, non una puntura di spillo simbolica per ricordare che “…ah sì, c’è anche la musica”, ecco, visto che la situazione ora è questa e Milano si riempie di addetti ai lavori reali, presunti o aspiranti tali, Linecheck sa diventare quel safe space dove si tenta di mettere ordine, di ragionare, di immaginare, di creare connessioni reali e seriamente professionali. (A Linecheck comunque i momenti di folla-da-concerto non mancano, come in questa foto scattata da Fabiana Amato; continua sotto)Quindi sì: potremmo invitarvi a guardare l programma di talk e quant’altro, e fatelo assolutamente, ma l’avvertimento è in realtà a raggio da un lato più largo, dall’altro molto più stretto e definito. Ovvero: Linecheck è un ventaglio di possibilità e suggestioni che viene offerto a chi decide di spenderci del tempo e delle energie. Bisogna utilizzarlo in maniera consapevole, in maniera quasi proattiva. Molte cose che secondo la legge dello spettacolo e dell’”evento” sembrano inutili, sembrano secondarie, sembrano poco significative in realtà sono quelle che, se approcciate, possono darci gli strumenti per un approccio più sano al mondo-musica a tutto tondo. Altrimenti, tanto vale che a comandare siano sempre i soliti noti, e/o i più cinici, e/o i sempre più ricchi: ma è davvero questo quello che vogliamo?Ci si vede a Milano, da lunedì 17 novembre, se vi va, se vi interessa. E se siete arrivati fino a qui in fondo, beh, probabilmente dovrebbe. The post È davvero questo quello che vogliamo? Il senso di Linecheck nel 2025 appeared first on Soundwall.