Vittorio Sgarbi è tornato a far parlare di sé per le vicende private – la salute, le pretese della figlia – mentre delle inchieste a suo carico si erano perse le tracce. Da Reggio Emilia arriva però la svolta: la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio sulla madre di tutte le inchieste, quella sul dipinto di Rutilio Manetti “La cattura di San Pietro”, rubato nel 2013 dal castello di Buriasco e ricomparso anni dopo in una mostra a Lucca come proprietà di Sgarbi.Fu una rocambolesca inchiesta del Fatto e di Report a ricostruire la storia: dalla scomparsa dell’opera alla sua alterazione con la famosa candela spuntata sulla tela. Ieri si è celebrata l’udienza a porte chiuse. L’indagine, nata a Macerata per competenza territoriale, è stata trasferita a Reggio Emilia perché lì avvenne l’alterazione del quadro, opera del pittore Lino Frongia, non indagato.Del fascicolo – spiega la Gazzetta di Reggio – si è occupato personalmente il procuratore capo Calogero Gaetano Paci insieme al sostituto Maria Rita Pantani, ieri presente in aula. Scontata la richiesta di rinvio a giudizio con la mole di indizi portati dai giornalisti e dal Nucleo Tutela Patrimonio di Roma. Sgarbi rischia una condanna fino a 12 anni.Davanti al giudice Luca Ramponi la Procura, che si è riservato di decidere, si è anche discusso del dissequestro dell’opera avanzato dalla proprietaria, la signora Margherita Buzio, la stessa che nel 2013 indicò ai carabinieri i nomi di chi si era proposto come acquirente visitando il Castello in provincia di : nella denuncia compariva anche quello di Paolo Bocedi, storico collaboratore di Sgarbi.Dopo la sparizione, il dipinto finì dal restauratore di fiducia di Sgarbi, il bresciano Gianfranco Mingardi, che lo tenne per un lungo periodo prima di restituirlo, ancora senza la candela. Il quadro riemerse poi alla Cavallerizza di Lucca nel 2021, presentato come originale che – disse Sgarbi – sarebbe stato ritrovato nella soffitta della sua villa Maidalchina, in provincia di Viterbo. Una versione smentita punto per punto: prima dalle contraddizioni dello stesso Sgarbi, che sostenne che la sua tela fosse diversa da quella rubata; poi dalla perizia dell’Istituto del Restauro firmata dalla consulente della Procura, Barbara Lavorini, che attribuì senza dubbi il dipinto alla proprietaria e ricostruì l’intervento posticcio della candela, realizzato con pigmenti industriali moderni.In quella stessa fase Sgarbi fece anche riprodurre l’opera nel laboratorio G-Lab di Correggio, portando in mostra la copia anziché l’originale e ingannando così visitatori e critici. Celebri le sue intemerate contro i giornalisti che avevano ricostruito la vicenda.Dopo le rivelazioni del Fatto e di Report, Sgarbi non ha mai ammesso responsabilità né chiesto scusa per la storia del Manetti o per altre contestazioni: ha tentato di fermare le puntate di Report, ha querelato i due cronisti e, annunciando le dimissioni da sottosegretario, ha rivendicato di «non doversi scusare con nessuno».L'articolo Sgarbi a giudizio sul Manetti rubato: il giudice si riserva di restituirlo alla proprietaria proviene da Il Fatto Quotidiano.