Il concerto dei Radiohead a Bologna mi è parso andare a sprazzi: 6/7 picchi sovraumani, altri momenti in cui mi sono disconnesso. In ogni caso, gruppi così ne nasceranno pochi. Anzi meno – di Andrea Scanzi

Wait 5 sec.

Ieri ho visto i Radiohead a Bologna. Era la prima delle loro quattro date italiane (sempre a Bologna). Ogni data è andata subito sold out (14mila persone a replica). Condiderazioni.1. Venticinque brani per due ore e cinque di musica, (18 canzoni più altre sette come bis). La scaletta cambia ogni data, ma almeno 12/13 brani restano fissi. Pochi fronzoli, zero chiacchiere (o parte due o tre “tutto bene?” in italiano di Yorke), zero improvvisazioni. Nessuna contestazione sul tema Palestina: per fortuna e giustamente.2. La band ha attinto da ognuno dei nove dischi in studio (tranne Pablo Honey, e non è una novità). I dischi da cui più hanno pescato sono Ok Computer e Hail to the thief, due capolavori totali.3. È inevitabile, per una band con un repertorio così sconfinato, che qualche brano alla fine sia mancato. A titolo personale, ho avvertito l’assenza di Exit Music (for a film), Street spirit (fade out), How to disappear completely. Ovviamente sono mancate anche Creep e High and dry, ma questo si sapeva. Da decenni.4. Il concerto mi è parso andare a sprazzi. Mi spiego. Ovviamente il livello è sempre alto, mostruosamente alto, ma parlando dei Radiohead lo do per scontato. Ci sono stati 6/7 picchi sovrumani, ma anche altrettanti momenti in cui mi sono proprio disconnesso, perché le canzoni – pur perfette – le ho avvertite emotivamente algide. E in alcuni casi (3 o 4) mi hanno anche un po’ sfrangiato certosinamente il glande.5. Alludo, a proposito di glande sfranto, a momenti tipo Bloom, Ful Stop e Bodysnatchers.5 bis. Di contro, i picchi devastanti sono stati: Sit down, stand up (ENORME), No surprises, There There (MONUMENTALE), Lucky, Fake Plastic Trees (sempre sia lode), Paranoid Android (momento oltremodo catartico e vero e proprio rito collettivo) e la conclusiva Karma Police.5 ter. Molto alti anche altri 6/7 momenti, tra cui di sicuro Videotape. Invece The National Anthem – che adoro – in questa versione mi ha preso molto meno. Mannaggia.6. L’acustica è stata straziante nei primi due brani almeno, vanificando l’iniziale Planet Telex e ahinoi pure 2+2=5. Non hanno aiutato neanche gli “schermi” che inizialmente oscurano e coprono la band: gli effetti visivi che ne derivano sono sontuosi, ma per tutta la prima mezz’ora pensi: “sì, tutto bello, però adesso me li togli dai cogli**i e mi fai vedere la band, per favore?”.7. Tecnicamente e musicalmente i Radiohead sono siderali. Hanno inventato un suono, non sono mai uguali a se stessi, inventano musica da 40 anni, spaziano da un genere all’altro (si pensi al quasi-rap ipnotico di Wolf at the door) e hanno codificato un muro del suono personale, lisergico, onirico e personalissimo. E questo dato – evidente anche ieri – li rende per distacco una delle più importanti band degli ultimi 3/4 decenni.8. I Radiohead sono un gruppo che dipende molto dalla fase emotiva e psicologica che stai passando. Mentre Neil Young o i Led Zeppelin sono eterni, ma pure Springsteen o i Pink Floyd, i Radiohead – per entrarti veramente dentro – devono beccarti in un momento in cui ha lo spleen e la saudade (o derivati) in modalità on a tutto volume. In caso contrario, qua e là ti appaiono più distanti, freddi e in taluni casi persino (qua e là) noiosetti. Io, che non sono ora in modalità spleen e/o malinconica, ieri ho vissuto appieno questo aspetto, passando di continuo dal 9/10 al 6–/6+.9. Quanto detto al punto 8 non è un difetto: è una caratteristica. I Radiohead restano pazzeschi, ma perché ti arrivino appieno serve anche la tua propensione a farti “devastare” da loro. Io li ho amati follemente da The Bends a Hail to the thief compresi. Poi ho apprezzato parecchio In rainbows, che è un capolavoro, ma che già mi ha preso meno il cuore. Gli ultimi due dischi, The King of Limbs e A Moon shaped pool, pur splendidi non li ascolto mai. E ieri ho capito il perché. Ma son gusti, o per meglio dire sensibilità diverse.10. Mentre guardavo Thom Yorke, pensavo a Dino Campana: cento anni fa (tragicamente) uno così sarebbe stato internato, incompreso e relegato in un manicomio. La diversità faceva (e fa) paura. Yorke non ha (mai avuto) nulla di umano. Nulla. È palesemente un alieno che vive nel suo mondo e ci racconta – con voce inaudita – cose che vede solo lui. Un’anima illuminata, inquieta e fragilissima. Lo capisci anche solo da come si muove, dagli sguardi, dalla sua costante alienità. Ne deriva per contrasto un carisma infinito, che lo porta a ipnotizzarti mentre “balla” e saltella di continuo sul palco, caracollando in maniera insondabile, ostaggio di un malessere tarantolato e profondo che lo brucia. E al contempo lo ispira.10 bis. Tanto per scrivere una bischerata (che sarà l’unica cosa che molti ricorderanno di questo articolo, perché la mente umana è strana parecchio): in alcuni momenti, nelle immagini che comparivano sugli schermi, Yorke sembrava Simone Tartarini, il coach di Musetti. E in effetti, come allenatore di Lorenzo, non lo vedrei mica male.10 ter. Concludendo. Band eterna. Talento a quintali. Tour storico. Livello sempre alto e spesso altissimo. Empatia ora fuori scala e ora molto (troppo?) british. Almeno 6/7 momenti indimenticabili. Chi ha trovato il biglietto se la goda, perché di gruppi così ne nascono – e nasceranno – pochi pochi. Anzi meno.L'articolo Il concerto dei Radiohead a Bologna mi è parso andare a sprazzi: 6/7 picchi sovraumani, altri momenti in cui mi sono disconnesso. In ogni caso, gruppi così ne nasceranno pochi. Anzi meno – di Andrea Scanzi proviene da Il Fatto Quotidiano.