Perché non è un insulto chiamare un sindaco «Cetto La Qualunque». Il caso dal controllo Covid finito male: cosa ha deciso la Cassazione

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Chiamare un sindaco “Cetto La Qualunque” rientra nel diritto di critica, nella forma di satira, e non rappresenta dunque una diffamazione. Lo sottolineano i giudici della Quinta sezione penale della Cassazione in una sentenza con la quale hanno assolto dall’accusa di diffamazione un cittadino abruzzese che aveva definito il sindaco con il nome del personaggio creato da Antonio Albanese.Perché i giudici hanno assolto il cittadinoPer i supremi giudici «la reputazione non si identifica con la considerazione che ciascuno ha di sé o con il semplice amor proprio, ma con il senso della dignità personale in conformità all’opinione del gruppo sociale di riferimento, secondo il particolare contesto storico», si legge nella sentenza riportata dal sito Cassazione.net.Una personalità politica «ha certamente diritto a che la sua reputazione sia protetta, anche fuori dell’ambito della vita privata», scrivono i giudici, «ma gli imperativi di questa protezione devono essere bilanciati con gli interessi della libera discussione delle questioni politiche e le eccezioni alla libertà di espressione richiedono una interpretazione stretta».La satira e la critica politicaIn questo caso l’appellativo rivolto al sindaco «non appare un immotivato attacco denigratorio, finalizzato a svilirne pubblicamente la figura umana e professionale» ma richiama un personaggio «notoriamente inesistente, dunque, nella forma scherzosa e ironica proprio della satira, pur se connotata da un tono sferzante che integra l’esercizio della critica politica».Secondo i giudici non viene intaccata la reputazione sociale e professionale del primo cittadino ma solo il suo «operato tecnico-amministrativo». Anche perché, fa notare il collegio richiamando una decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo, «i limiti della critica ammissibile sono più ampi nei confronti di una personalità o di un partito politico» rispetto a quelli previsti «nei confronti di un semplice cittadino».Il caso del controllo Covid finito in tribunaleLa lite col sindaco nasce nel primo periodo della pandemia, nel 2020. All’epoca il primo cittadino, accompagnato da almeno cinque persone, si era presentato a casa dell’uomo che poi finirà sotto processo. Secondo quanto ricostruito in aula, il sindaco era andato per verificare il rispetto delle misure restrittive, che però non erano ancora in corso sul territorio. Il sindaco avrebbe intimato al suo concittadino di rimanere in casa e mandare via i suoi parenti. Da qui la mail con l’intestazione a Cetto La Qualunque. «Si prega di volermi comunicare perché vengano rilasciati permessi di transumazione con la motivazione di dar da mangiare alle galline e non lo si possa ottenere per i medicinali salvavita», è quanto scritto dal mittente. Il cittadino era finito sotto processo ed era stato condannato. Adesso, con la sentenza della Cassazione, dovrà solo risarcire le spese di giudizio ma si risparmia una condanna per diffamazione.L'articolo Perché non è un insulto chiamare un sindaco «Cetto La Qualunque». Il caso dal controllo Covid finito male: cosa ha deciso la Cassazione proviene da Open.