“Un anno rubato a mio figlio Alberto Trentini. Non è stato fatto il necessario per liberarlo, la pazienza è finita”

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“Un anno rubato”. Parole dure, pubblicate qualche ora fa sul profilo Facebook “Alberto Trentini Libero”, raccontano la Via Crucis del cooperante veneto, da 365 giorni ostaggio in Venezuela e recluso nel maxi-carcere de El Rodeo I, e dei suoi genitori, Armanda Colusso ed Ezio Trentini, che ogni giorno, insieme all’avvocata Alessandra Ballerini, aspettano il suo ritorno. Quella dei 365 giorni, si sa, è una linea rossa che non andava superata; una frontiera esistenziale tra l’impegno, finora mancato, e l’indifferenza, che ha avuto la meglio a Palazzo Chigi e dintorni.“Sono certa che per Alberto non si è fatto quel che era necessario e doveroso fare per la sua liberazione”, ha denunciato Armanda, intervenuta oggi in conferenza stampa a Palazzo Marino (Milano), insieme – fra gli altri – a Ballerini che, dall’inizio, ne chiedono la liberazione. “Sono stata troppo paziente ed educata. Ora la mia pazienza si è esaurita”, ha poi ammesso, rinnovando il suo appello ai giornalisti: “Io andrò a casa con la convinzione che parlerete e scriverete di Alberto e chiederete assieme a me a gran voce la sua liberazione”. Non c’è dubbio che per la liberazione di suo figlio “doveva esserci, e invece non c’è stato, un gruppo coeso e motivato di persone che doveva mirare allo stesso risultato”.Lo sanno bene Roma e Caracas, dove temporeggiano mentre i familiari di Trentini vivono “notti insonni e giornate senza senso, con il pensiero fisso su Alberto, ad immaginare come sta, cosa pensa, cosa spera, di cosa ha paura”, come denuncia Armanda. Gli unici benefici: tre chiamate brevi e una visita consolare, concesse anche ad altri detenuti. Del resto gli è “stato tolto un anno di vita” nel quale “non ha potuto godere dell’affetto della sua famiglia“, prosegue Armanda.Al Rodeo I si vive in “condizioni igieniche difficili”, come già raccontato da un ex-prigioniero svizzero, che ha conosciuto Alberto e per il quale il governo svizzero non ha risparmiato alcuno sforzo. È andata così anche per gli americani, ora tutti liberi, i colombiani e altre persone che “hanno raccontato le medesime condizioni terribili di detenzione“. Dal canto suo il governo italiano – che all’inizio aveva imposto “il silenzio” ai familiari per “non danneggiare la posizione” di Trentini – ha mantenuto, fino a poco tempo fa, una sorta di linea di fermezza nei confronti delle autorità venezuelane, mai telefonate nei primi nove mesi. “Mi sorge spontanea una domanda: fosse stato un loro figlio l’avrebbero lasciato in prigione un anno intero?”, ha detto Armanda.L’immobilismo italiano è stato in parte compensato dalla mobilitazione della famiglia Trentini con l’avvocata Ballerini – e l’aiuto dell’associazione Articolo 21, la parrocchia, gli amici – entrati a contatto con “politici, diplomatici, artisti e negoziatori perché Alberto potesse tornare a casa”. Faceva ben sperare la distensione dell’ultimo mese, con la stretta di mano tra il capo di Stato Sergio Mattarella e la ministra dell’Istruzione venezuelana durante la canonizzazione dei santi José Gregorio Hernández e María Carmen Rendiles, ma Alberto non è ancora tornato. E poco c’entrano i venti di guerra che in queste ore soffiano al largo del Venezuela, vista la recente liberazione di decine di detenuti colombiani (che hanno riferito di aver visto Alberto). Su questo punto il ministro degli Esteri Antonio Tajani era intervenuto il 14 novembre, ribadendo lo sforzo italiano per “sollecitare la liberazione” dei connazionali detenuti in Venezuela, facendo però riferimento a “una tensione crescente” che coinvolge il Venezuela, “anche a livello internazionale.Ma in realtà l’ostacolo più grosso non è a stelle e strisce, bensì italiano, ed è rappresentato da negoziatori entrati in scena per colmare il vuoto lasciato dal governo Meloni e facendo perdere tempo e risorse, senza portare a casa Alberto. “Si sono palesati dei negoziatori e la sensazione è che questi mediatori millantassero un potere che non avevano. Quando sembrava che Alberto potesse arrivare a casa, lui di fatto non è tornato”, ha detto Ballerini rispondendo a Ilfattoquotidiano.it. “Io ho chiesto fin dai primi mesi il visto per andare a Caracas, come avvenuto per Giulio Regeni in Egitto. Spero che il visto venga finalmente concesso. Il mio scopo sarebbe quello di andare a trovare Alberto in carcere”. E ha aggiunto: “Per mia sicurezza personale, approfittando della presenza dell’inviato speciale per gli italiani in Venezuela, Luigi Maria Vignali, affinché – previa autorizzazione – possa tornare nel Paese”. Quanto alle invocazioni di pace di Maduro, la legale ha ricordato che “l’Italia ripudia la guerra” e ha sottolineato il “valore del canale recentemente aperto” con Caracas, dopo quattro anni di silenzi. L’Italia? “Pur lontana politicamente dal Venezuela potrebbe rassicurare Caracas sul rispetto del Diritto internazionale, anche dopo l’eventuale rilascio di Alberto“.A Palazzo Marino c’erano anche Beppe Giulietti (Articolo 21), Paola Deffendi e Giulio Regeni, genitori del ricercatore ucciso nel 2016 al Cairo, ed Elisa Signori e Rino Rocchelli, il cui figlio, il fotografo Andy, è morto per mano delle forze ucraine mentre svolgeva il proprio lavoro nel Donbass. La loro sete di giustizia si unisce ora al clamore per la liberazione di Alberto, affinché, almeno una volta, l’epilogo sia diverso. E la vita prevalga, al di sopra di ogni calcolo e meschinità.L'articolo “Un anno rubato a mio figlio Alberto Trentini. Non è stato fatto il necessario per liberarlo, la pazienza è finita” proviene da Il Fatto Quotidiano.