Lo Stato vaticano è nato a tavola

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AGI - “In compagnia prese moglie un frate”, dice il proverbio. E nell’anno 728 a Sutri, nel Viterbese, con un banchetto organizzato dal papa in onore del re dei Longobardi la Chiesa ottenne un “regalo” addirittura memorabile: la nascita dello Stato pontificio.La grande Storia era passata per il cibo. Il fatto cui si fa riferimento è noto agli storici come la Donazione di Sutri, la restituzione del castello nell’antico centro sulla via Cassia, a poco più di 50 chilometri da Roma, in favore del pontefice Gregorio II (o meglio dei santi Pietro e Paolo) da parte del “generoso” Liutprando, sovrano dei Longobardi i quali “per 140 giorni – come riporta il ‘Liber Pontificalis’, libro che raccoglie le biografie dei pontefici e considerato dagli accademici fonte ‘semiufficiale’ – ne furono i padroni”. Finalmente la capitale universale del cattolicesimo poteva (metaforicamente) sventolare la sua bandiera in cima al Cupolone di San Pietro e mostrare di possedere un’entità politica e non solo dogmatica. Inoltre, sembra che questa volta sia stato addirittura possibile “fotocopiare” il menù che fu offerto dal santo padre al monarca. Piatto principale il pesce “sacro”, e non a caso. Infatti, l’accordo tra i due potenti fu “mandato giù” attraverso un “convivium” in cui ogni pasto aveva un suo preciso significato. A spiegarlo è la professoressa Francesca Pandimiglio, docente di Storia dell'arte nella Scuola secondaria di secondo grado e dottoranda di ricerca all'Università della Tuscia, concentrando i suoi studi nell’arco di tempo che va dall’archeologia cristiana ai popoli barbarici.“Atti ufficiali su come venivano fatte le imbanditure dei pranzi e delle cene tra i Longobardi – puntualizza la prof – ovviamente non esistono. Però ci sono elementi riguardanti i prodotti e le ricette: le fonti sono le cronache e le citazioni di Paolo Diacono”.Paolo - nato in una famiglia aristocratica di Cividale del Friuli e (dice la tradizione) morto monaco benedettino a Montecassino, nel Frusinate (720 circa-799) – ha dedicato buona parte della sua vita a scrivere la biografia dei barbari d’oltralpe, prima federati dei Romani e poi, con lo sgretolarsi dell’impero, con re Alboino arrivati attraverso il Friuli e dilagati da Nord a Sud dell’Italia regnando per oltre duecento anni, dal 568 al 774. In pratica, Diacono - come scrive nel suo libro “Voci dai secoli bui” lo storico Stefano Gasparri – è stato “autore di una delle cronache più famose dell’intero medioevo europeo, la ‘Storia dei Longobardi’”. È basandosi su questi documenti che la docente ha riproposto il menù di quel celebre giorno. La lista è stata pubblicata per la prima volta tre anni fa sulle pagine del settimanale della Tuscia “La Loggetta”. E da allora la ricercatrice ne parla alle giornate organizzate dal Gruppo archeologico “Noukria”, antico nome del comune di Nocera umbra che ospita gli incontri e dove nell’estate del 2022, al primo convegno europeo su “I cibi dei Longobardi”, una sezione è stata dedicata proprio al “Convivium con re Liutprando e papa Gregorio II in occasione della redazione e consegna della Donazione di Sutri”, (ri)servendo perfino la carrellata di piatti ai partecipanti.“Il re Liutprando si definiva ‘catholicus’, in quanto istituito come sovrano per volere divino – scrive Pandimiglio – e questo fa supporre che a tavola ambedue (papa e re, ndr) prediligessero degustare prevalentemente il pesce, decisamente più salutare, raffinato e considerato sacro rispetto alla carne”.Quindi l’esperta ipotizza tre carte di pietanze per il ‘convivium’ di Sutri. “Una prima lista di imbandigione – continua la prof – è con una vivanda tipica, la ‘puls’, ovvero polenta di farro e miglio, ma anche di ‘roveja’, legume simile al pisello tipico della vallata di Civita di Bagnoregio e di Cascia, in Umbria; oppure – prosegue - di farina di castagne prevalentemente dei boschi della zona, nei pressi di Sutri e dei Cimini, condita con lardo e tartufo e accompagnata da una zuppetta di erbe di campo o dalla vellutata di ortica e guanciale detto ancora oggi ‘del Duca’”. Poi segue la seconda lista, con “cinghiale alla melangola, o arancio amaro” – suggerisce la ricercatrice - che poteva essere accompagnato da altra cacciagione, come il fagiano alla mostarda, oppure il coniglio farcito, detto alla longobarda, con ripieno di carne tritata, uova, pinoli, formaggio morbido e mele. I Longobardi – aggiunge Pandimiglio - gustavano anche il pesce di fiume e di lago condito con l’ossimello, una salsa liquida ottenuta mescolando due parti di miele e una di aceto. Il pesce che maggiormente veniva degustato era il merluzzo e le aringhe, oltre a un’ampia varietà di pesci d’acqua dolce e salata”.Dunque i dolci, per esempio il “nucato”: “Un vino speziato e aromatico – spiega la prof - utilizzato fino al XVII secolo”. E infine la colomba: “La storia – racconta Pandimiglio - narra di una fanciulla prigioniera la quale, per suscitare la clemenza di re Alboino preparò e donò un dolce a forma di colomba. La pietanza risultò essere davvero eccezionale, tanto che il re graziò la giovane e la lasciò libera”.L’ultimo incontro che si è svolto a Nocera Umbra ha riguardato l’artigianato orafo dei Longobardi, mentre i precedenti, rispettivamente, hanno trattato i tessuti, i corredi e il cibo del popolo del Nord Europa. Il prossimo? “Non si sa – dice l’instancabile fondatore del Gruppo archeologico “Noukria”, Angelo Brancaleone, 70 anni, ex ispettore del lavoro appassionato di storia - forse sarà sulla superstizione longobarda”.