Questa sera, martedì 11 novembre 2025, i Psychedelic Furs suoneranno a Milano, al Fabrique. Alle nostre latitudini non sono passati di frequente, e ogni occasione mancata è rimasta sospesa come un incontro rimandato. Qualche anno fa avrebbero dovuto esibirsi al Fuori Orario, in provincia di Reggio Emilia. Il sottoscritto avrebbe dovuto mettere dischi a corredo di quel live: un set rigorosamente orientato, un sogno possibile, svanito ancora prima di cominciare. Il tour, per motivi vari, fu annullato. Anyway — questa sera il grande ritorno, per un’unica data italiana.Nei consueti nove punti di questo blog provo a raccontarli, e a prepararvi a uno dei concerti che, a mio parere, non si dovrebbero perdere.Cominciamo.1. Oltre la new waveDifficile collocarli. Troppo ruvidi per il pop, troppo melodici per il post-punk, troppo pensati per il rock. I Furs abitano quella zona di confine dove i generi si sfiorano ma non si toccano. Hanno preso la tensione del punk, l’eleganza dei Roxy Music, il disincanto di Bowie, e ne hanno fatto un suono personale. Non imitano, “si muovono di lato”, come chi sa di non dover somigliare a nessuno. E, a conti fatti, ne sono fieri.2. Il DisegnoNei Furs le chitarre si urtano, il sax graffia, la voce sembra sfuggire al controllo ma non si perde mai. È un equilibrio nervoso, calibrato al millimetro. “Ascoltavamo moltissimo i Roxy Music, Bowie e i Velvet Underground. Erano tutti questione di atmosfera — e quello volevamo catturare: l’atmosfera più della perfezione”, ha raccontato Butler. Ma c’è molto altro, ovviamente. Vediamolo nei prossimi punti.3. La Voce e il VoltoNegli anni Ottanta quella voce pareva già fuori tempo massimo, per ciò che riusciva a evocare. Unica e assoluta, come quella dei grandi crooner. Ruvida, indolente, a tratti sfacciata ma sempre in controllo. Porta dentro il peso del vissuto e il distacco di chi osserva più che interpreta. Se proprio si volessero cercare paragoni, si potrebbero evocare Bowie o Lou Reed, ma sarebbe riduttivo. Meglio riconoscerle ciò che è: una timbrica che non appartiene a nessuno se non a lui. È Butler, e basta. Elegante, magnetica, come la musica del suo gruppo.4. La Poetica“Volevamo fare qualcosa di emotivo con il rumore.”Così Butler racconta gli esordi. Nessuna ideologia, nessuna posa. Solo l’urgenza di trasformare il disordine in qualcosa che restasse. Agiscono in un periodo — quello tra la fine dei Settanta e l’inizio degli Ottanta — in cui la musica si fa introspezione, e il clamore cede il passo alla profondità. Disperazione e lucidità: due estremi che si sfiorano senza mai toccarsi. I Furs suonano come se trattenessero più di quanto mostrano, come se volessero controllare le emozioni per poterle, paradossalmente, liberare meglio.5. L’AttitudineRispettati, rilevanti, mai allineati. Una band che non ha seguito le mode: le ha incrociate restando se stessa. In un’epoca di plastica lucida e pettinature esatte, portavano uno sguardo più vicino all’arte che al consumo. Seri, ma mai seriosi. Hanno sfiorato il pop da classifica, flirtando con il successo come si fa con qualcosa che non si vuole davvero. E la prova è lì, nei dischi: invecchiati benissimo, come tutto ciò che non è mai stato pensato per piacere subito.6. Il ManifestoCon Talk Talk Talk, trovano la forma. Il suono si fa più netto, la scrittura prende direzione, la voce di Butler diventa il centro attorno a cui tutto ruota. Brani che ondeggiano tra atmosfere dense e necessarie. Non è solo il loro miglior album, è quello che li definisce. Paradossalmente, però, le loro canzoni più iconiche abitano altrove — a conferma che la coerenza, per loro, non è una questione di singoli, ma di visione.7. La Persistenza Una band che non appartiene alla categoria “operazioni nostalgia”: semplicemente, “esistono”. Senza clamore, senza strategia, rivendicando passato, presente e futuro. La voce di Butler è ancora quella, solo più scura. Nessun effetto vintage, nessuna posa. Continuano a scrivere con la stessa misura di sempre, partendo dall’onestà del suono. Non cercano spazio nel presente, lo attraversano. E in questo attraversamento, coerenti come pochi, restano veri.8. Il PresenteQual è il senso di un gruppo come i Furs, nel 2025? Forse proprio questo: esistere senza dover dimostrare nulla. Non cercano di rifarsi un posto, lo occupano da sempre, con la discrezione di chi non ha mai tradito il proprio suono. Non hanno bisogno di aggiornarsi, perché erano già avanti. Ascoltarli oggi serve a eliminare il superfluo che questo tempo musicale offre. E se ciò è vero, allora Butler e soci restano essenziali, soprattutto, necessari.9. Il ConcertoCosa ci si può aspettare da un concerto dei Furs, oggi? Niente effetti, nessuna nostalgia impacchettata. Solo dei musicisti che sul palco sanno esattamente cosa fare. Butler è un leader silenzioso: non parla molto, non deve. Ogni brano arriva come un frammento di tempo rimasto intatto, riconoscibile al primo accordo. Non c’è posa, non c’è distanza: c’è quella vibrazione sobria che solo le cose autentiche hanno. Ci si vede lìCome sempre, chiudo con una connessione musicale: una playlist dedicata, disponibile gratuitamente sul mio canale Spotify (link qui sotto). Se vuoi dire la tua, fallo nei commenti o — meglio ancora — sulla mia pagina Facebook pubblica, collegata a questo blog. È lì che il dibattito continua, tra post, risposte e deviazioni imprevedibili. E sì, se ne leggono davvero di tutti i colori.Buon ascolto. E buona lettura.9 Canzoni 9 … dei Psychedelic FursL'articolo I Psychedelic Furs in concerto a Milano: perché la loro musica è ancora necessaria proviene da Il Fatto Quotidiano.