AGI - Ci sono un momento e un epicentro precisi per la “scossa” che ha innescato la ridefinizione dell’ordine mondiale e ha costretto Stati, alleanze e mercati a ripensarsi daccapo. E nel suo nuovo saggi 'La scossa globale' (Rizzoli), Maurizio Molinari li individua nel ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.È da qui che prende le mosse un viaggio in questa fase in cui le regole del Novecento non bastano più e i rapporti di forza tra Stati Uniti, Cina e Russia rientrano in un gioco tripolare dal finale aperto.Non una profezia, ma una diagnosiMolinari evita la tentazione della profezia e preferisce la diagnosi descrivendo tre traiettorie possibili della scossa trumpiana: un nuovo equilibrio per “sfere d’influenza”, uno scontro aperto tra superpotenze, oppure una lunga stagione di instabilità a bassa e media intensità in più teatri regionali. È un menù di scenari che rimette in discussione istituzioni multilaterali, catene del valore e geografie del potere, riportandoci a logiche da “età degli imperi” e a una realpolitik che guarda più alle aree di influenza che alle regole condivise.Dagli accordi di Abramo alle terre rareNel libro, l’autore mette in fila le linee di faglia: dalla “roulette ucraina” al Medio Oriente post–7 ottobre, fino alle nuove rotte economiche che intrecciano Accordi di Abramo, corridoi logistici tra India, Golfo e Mediterraneo e la competizione con la Via della Seta di Pechino.Non è solo geopolitica classica: la partita si gioca anche su terre rare, semiconduttori, satelliti, criptovalute e intelligenza artificiale, leve di un neo-mercantilismo in cui i dazi diventano strumenti di potere e la tecnologia ridisegna confini e dipendenze.Il ruolo dell'EuropaE l’Europa? Nel volume emerge l’immagine di un continente alle prese con una leadership “collegiale” che fatica a reggere l’urto dei leader “tribali”, figure in cui carattere personale, forza politica e identità nazionale si sommano fino a oscurare gabinetti e burocrazie.Per colmare il divario, nota Molinari, servirebbe una guida capace di affiancare gli organi Ue e di proiettare potenza in un mondo tornato competitivo. Lo sguardo va inevitabilmente a Berlino, per peso economico e demografico, e alla necessità di un salto di qualità nella difesa europea.Un atlante non ideologicoIl pregio del saggio è duplice. Primo: l’impianto “da atlante”, con mappe, dati e serie storiche che aiutano a leggere un conflitto ormai ibrido, dal cyberspazio ai fondali oceanici, dagli standard tecnologici alle risorse critiche. Secondo: il taglio non ideologico, che fotografa mutamenti e interessi senza indulgere a moralismi, offrendo strumenti di comprensione sia al lettore comune sia a chi decide. Il risultato è un manuale di navigazione nell’epoca in cui l’“America First” ridisegna il puzzle globale e costringe gli altri attori - autocrati e democrazie - a scegliere se cooperare, contenere o contrapporsi.Non mancano i capitoli che guardano al “dopo” delle crisi: il futuro di Israele tra sicurezza e identità, l’evoluzione dell’Unione Europea tra resilienza e irrilevanza, la corsa agli armamenti (anche tecnologici) e la frattura crescente tra sovranismi e culture “woke”, entrambe lette come estremi che erodono il cuore di un Illuminismo inteso come universalismo, ragione critica, libertà individuale. È la trama di un mondo che rinegozia regole, linguaggi e deterrenza, mentre l’economia viene sempre più piegata a obiettivi politici.