“Soldi per le armi, ma non ai ricercatori”: precari Cnr in piazza contro la manovra. “Agricoltura, rischio sismico, rinnovabili: così il nostro lavoro andrà perso”

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C’è chi ha collezionato assegni di ricerca e contratti parasubordinati, rinnovati anno dopo anno, nel pieno precariato. Chi ha scelto di rientrare da esperienze all’estero, anche “per contribuire alla crescita del Paese”, rinunciando a carriere e stipendi ben più ambiziosi. Chi da oltre dieci anni fa ricerca nel settore pubblico, anche nei progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma ora si trova senza alcuna garanzia sul proprio futuro. E ancora chi ha lavorato su tematiche ambientali, energie rinnovabili, biodiversità e protezione dal rischio sismico o idrogeologico. Ma che rischia (se non lo è già stato) di finire tagliato fuori, ora che tanti progetti stanno scadendo. Senza occupazione, né certezze. Dal Cnr, il maggiore centro di ricerca pubblico d’Italia oggi presieduto da Andrea Lenzi, all’Infn (l’Istituto nazionale di fisica nucleare, passando per l’Inaf (l’Istituto nazionale di astrofisica), il Crea (il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) e tanti altri, il destino per tanti precari e precarie della ricerca pubblica è comune.Non sono pochi i precari, “almeno seimila su 25mila addetti totali circa”, spiega Stefano Bernabei della Flc Cgil: questa è la fotografia della ricerca pubblica italiana. Tradotto, un quarto di lavoratrici e lavoratori che non ha alcuna garanzia e che da tempo rivendica di essere stabilizzato. Peccato che nella manovra 2026 del governo Meloni di “soldi per la ricerca non c’è alcuna traccia”, rivendicano dalla Cgil e dai movimenti dei precari, tornati a mobilitarsi a Roma, di fronte a Montecitorio, in piazza per protestare contro la legge finanziaria dell’esecutivo. “Ci sono i soldi per le armi, ma non per le nostre vite, sono scelte politiche. Chiediamo alla ministra dell’Università e della ricerca Anna Maria Bernini e al governo di mantenere le promesse e di stanziare i fondi per le nostre assunzioni”.Metà del bacino dei precari si trova al Cnr: “Siamo 4mila precari circa, anche se sono stime nostre e non ci sono numeri ufficiali”. Lo scorso anno, di fronte al silenzio e all’immobilismo del governo, un piccolo segnale era arrivato grazie all’esiguo tesoretto delle opposizioni – Pd, M5s e Avs – e all’approvazione di un emendamento congiunto che prevedeva un contributo di circa 10 milioni, per tre anni. Chiaramente però insufficiente. “Basta appena per 180 persone e il percorso di stabilizzazione si sta avviando soltanto ora, a fatica. Ma serve un intervento strutturale per tutti”, rivendica Antonio Sanguineti, membro del coordinamento dei precari uniti del Cnr. E numeri molto alti si registrano anche all’Istituto nazionale di fisica nucleare, così come e a quello di Astrofisica: “Insieme al Cnr, questi tre enti fanno circa 4.400 precari”. E poi ci sono anche realtà più piccole, ma dove il precariato resta protagonista. “Al Crea si supera la soglia di 300 precari, all’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale di Trieste per 300 assunti a tempo indeterminato, 100 sono invece precari”, continuano dalla Cgil, in piazza con i ricercatori, insieme a delegazioni di Pd, M5s e Avs: “Zero investimenti per la ricerca, zero investimenti per le stabilizzazioni e conferma del blocco del turn-over al 75% per il 2026″, denuncia ancora Bernabei. “Sappiamo che sono 30mila i precari della ricerca nelle Università, 40mila i dottorandi e tante altre migliaia i precari negli enti di ricerca. Tutte persone che, in assenza di finanziamenti e stabilizzazioni, sono destinate a fare le valigie e a cercare un impiego in un altro Paese”, ha attaccato Elisabetta Piccolotti di Avs. “Se i nostri emendamenti a favore delle stabilizzazioni saranno respinti, vedremo cosa si potrà fare con le poche risorse a nostra disposizione, ma è il governo che deve risolvere il problema con un finanziamento adeguato. Altrimenti sarà uno spreco. Perché dopo aver investito 200 miliardi del Pnrr anche per potenziare la ricerca, buttare nel cestino tutto ciò che è stato costruito, rompendo la continuità, impedendo le carriere e bloccando l’avanzamento dei progetti, significherà buttare soldi dalla finestra. La ricerca va salvata”, è l’appello della deputata di Alleanza Verdi Sinistra. Numeri alla mano, secondo la Flc Cgil, per stabilizzare il bacino dei precari degli enti pubblici di ricerca servirebbero almeno circa 300 milioni. “Il nostro governo sta spendendo miliardi negli armamenti. Non mi identifico con un Paese che sta puntando sul riarmo invece che sul lavoro e sui precari”, denuncia Rosario, lavoratore della Stazione zoologica di Napoli. Racconta la sua frustrazione: “Era il sogno di una vita, ora rischio di rivivere quanto già vissuto al Cnr anni fa”. Non è l’unico: “A parole sono per le famiglie e per la natalità, ma serve creare le condizioni per permettere di crearsi una famiglia. E molti di noi, nell’incertezza, hanno rinunciato”, spiegano altri. “Senza fondi non ci vengano a ripetere la propaganda sul rientro dei cervelli in fuga. Chi potrà lascerà questo Paese”. Non tutti possono, per tanti è una chimera. O, al contrario, una scelta da non voler percorrere: “Voglio contribuire alla ricerca e alla crescita del mio Paese”, c’è chi sottolinea. Silvia, da anni precaria al Crea, però avverte: “Se rinunciano a noi, precario sarà il futuro dell’Italia“.L'articolo “Soldi per le armi, ma non ai ricercatori”: precari Cnr in piazza contro la manovra. “Agricoltura, rischio sismico, rinnovabili: così il nostro lavoro andrà perso” proviene da Il Fatto Quotidiano.