La notizia che InfoJobs Italia chiuderà le sue attività entro il 31 dicembre 2025 è un importante segnale per il mercato delle piattaforme di ricerca del lavoro. Determina un cambiamento di cambio di forze ed equilibri all’interno di tale mercato. Da un lato conferma che il modo in cui le persone cercano lavoro sta evolvendo un po’ in tutto il mondo, Italia compresa, e dall’altro sottolinea che le piattaforme generiche come faticano ormai a stare al passo con le esigenze di lavoratori e aziende. Dice inoltre qualcosa dello stato dell’arte del mercato lavorativo in Italia, che certo non brilla per dinamismo e attrattività.Lo sa bene anche Taccier, l’applicazione di Martina Strazzer, l’imprenditrice a capo di Amabile – l’azienda che è stata oggetto di un polverone mediatico, almeno sui social, durante l’estate di quest’anno. Molti annunciavano con entusiasmo, ai tempi del lancio di Taccier, che la piattaforma avrebbe rivoluzionato il recruiting. Sebbene dopo un annuncio in pompa magna è praticamente scomparsa dalla conversazione pubblica.Il problema è che oggi non basta mettere online un’app o un portale. Se si vuole avere successo la piattaforma deve generare valore visibile, misurabile e differenziato rispetto a quello che già esiste. In Italia questo valore sembra ancora mancare. E ogni volta che qualche nuovo attore sul mercato del web annuncia di scardinare LinkedIn finisce lui, o lei, per essere scardinato. Anche InfoJobs si autoproclamava il portale numero 1 per le offerte di lavoro. Segnale che aziende, vecchie e nuove, dovrebbero dedicare più attenzione a comprendere il loro mercato di riferimento più che crogiolarsi con autocompiacimenti roboanti.Senza contare che una piattaforma di ricerca del lavoro, tendenzialmente, funziona quando anche lo stesso mercato del lavoro in cui si inscrive presenta elementi di dinamismo. Quando il mercato del lavoro invece è stagnante, con salari reali in calo o bloccati da decenni, la piattaforma diventa semplicemente un connettore di povertà, non di opportunità. Aziende con pochi soldi cercano professionisti con poche speranze, fine. La piattaforma può presentare anche il coefficiente tecnologico delle navicelle spaziali di SpaceX che ci manderanno su Marte, un giorno, ma resta poi il buco nero delle opportunità lavorative in cui verrà risucchiata.Per quanto riguarda l’Italia i numeri parlano chiaro. Secondo l’OECD all’inizio del 2024 i salari reali erano ancora del 6,9% inferiori rispetto al periodo pre-pandemia. Inoltre l’Italia è l’unico Paese UE in cui i salari reali sono diminuiti dal 1990 ad oggi. Se le aziende non investono, e la produttività non cresce, allora una piattaforma che raccoglie annunci e CV può diventare solo un contenitore passivo.Questo, attenzione, non significa che le piattaforme non abbiano più ragione di esistere. Al contrario oggi hanno più ragione che mai ma devono cambiare l’approccio. Devono diventare elementi attivi dell’ecosistema. Social network professionali, spazi di interazione e in generale strumenti che facilitano relazioni reali tra candidato e azienda. Le piattaforme che potrebbero sopravvivere sono quelle come LinkedIn o Glassdoor che aiutano a selezionare in modo predittivo, che permettono alle aziende di costruire un’immagine più completa dell’organizzazione e alle persone di verificare cosa significhi davvero lavorare in quell’azienda attraverso le raccomandazioni anonime degli ex dipendenti.La chiusura di InfoJobs Italia può dunque essere letta come un monito per tutti gli aggregatori piatti, standardizzati, che non vanno oltre la semplice condivisione di offerte. In un mercato in cui i salari reali non stanno migliorando, la piattaforma è tanto più utile quanto più è capace di generare relazioni che migliorano la posizione e la consapevolezza del candidato.Basti pensare che, guardando oltre i confini nazionali, la storia di InfoJobs in Spagna mostra un’altra prospettiva. InfoJobs Spagna è infatti ancora considerata la principale piattaforma di recruiting in quel Paese e risulta attrattiva per gli investitori. Secondo recenti dossier è vista come target per acquisizione da parte di gruppi internazionali. La dimensione di mercato è più ampia, c’è maggiore mobilità professionale, in Spagna la cultura digitale è più consolidata, e il modello di business probabilmente più maturo.In Italia invece la struttura del mercato del lavoro (tra contratti deboli, produttività stagnante, salari fermi) rende molto più difficile che una piattaforma generalista possa emergere in modo rilevante. Il contesto che penalizza la tecnologia che, da sola, non può fare niente. E come nel caso di Taccier non basta annunciare la rivoluzione per farla, cosi come non bastano due apparizioni pompose sui media e qualche like sui social. Chi ha la confidenza di ambire a rivoluzionare il mercato del lavoro deve dimostrarlo coi fatti. E i fatti richiedono di trovare un modello di business che sappia generare entrate da aziende e candidati e che l’esperienza di entrambe le parti sia sufficientemente positiva da fargli preferire quella piattaforma a tutte le altre, almeno per specifiche esigenze.In bocca al lupo a chi verrà dopo InfoJobs (che sta chiudendo entro la fine del 2025) e Taccier (che ha un punteggio non promettente di 2.9 su Google Play Store). L’augurio è che oltre ad avere imprenditori più preparati, anche l’Italia fornisca loro un perimetro di azione più fertile. Altrimenti, chi gestisce piattaforme di ricerca del lavoro sul mercato italiano, finirà per provare la stessa sensazione di malessere di chi distribuisce mappe dell’acqua nel deserto. Un compito nobile, ma inutile.L'articolo InfoJobs chiude in Italia, ma il problema è (anche) il mercato del lavoro proviene da Il Fatto Quotidiano.