Boom di reati ambientali, ma le indagini sono sempre più complicate (specie in Italia)

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La criminalità ambientale aumenta ma le indagini diminuiscono. Questa è la conclusione che si ricava leggendo l’ultimo rapporto annuale di Eurojust, l’Agenzia europea per la cooperazione nella giustizia penale. Nonostante, infatti, si tratti della quarta maggiore attività criminale a livello globale, spesso organizzata con dimensione internazionale, che mette in pericolo interi ecosistemi e rappresenta al tempo stesso una grave minaccia per la salute umana, il numero di indagini e azioni penali in materia di criminalità ambientale a livello nazionale ed europeo rimane basso rispetto ad altri ambiti penali (addirittura al penultimo posto).Conclusione confermata per il nostro paese dal rapporto Ecomafia 2025 di Legambiente, dove si evidenzia che nel 2024 è stato superato il muro dei 40mila reati ambientali (14,4% in più rispetto al 2023) con un massiccio coinvolgimento di clan criminali, ma senza un adeguato aumento delle procedure di contrasto; e si aggiunge giustamente che la maggiore criticità è rappresentata dalla complessità delle indagini sulla criminalità ambientale, che richiede conoscenze giuridiche, tecniche e scientifiche specializzate e una moltitudine di attori responsabili del monitoraggio della conformità, dell’esecuzione dei controlli, dell’individuazione dei reati e dell’acquisizione di prove. Diagnosi totalmente valida per il nostro paese dove le leggi di contrasto a questa criminalità sono troppe, non coordinate e scritte in modo tale da risultare spesso incomprensibili specie per i non addetti ai lavori.Basta dire che il TUA (Testo Unico Ambientale) varato nel 2006, nato già con ben 300 articoli, in questi anni è stato oggetto di circa 200 modifiche (spesso contenute nelle leggi più strane), arrivando oggi a contare, al di là della numerazione formale, molti articoli in più (con molti bis, ter, quater ecc.); così come numerosi sono stati i provvedimenti emanati in attuazione delle singole parti dello stesso decreto legislativo, spesso con dizioni poco chiare che si prestano ad interpretazioni diverse, con regole quasi sempre seguite da numerose eccezioni (spesso contenute in altri articoli), piene di dettagli che confondono le idee ecc. Infine, come se non bastasse, ogni tanto il Ministero dell’Ambiente se ne esce con circolari interpretative dirette quasi sempre a vanificare gli obblighi di legge, come è avvenuto, ad esempio, sulla nozione di fine-rifiuto o sui requisiti per i sottoprodotti.E la confusione continua anche oggi: la recentissima normativa introdotta con la legge 3 ottobre 2025, n. 147 (disposizioni urgenti per il contrasto alle attività illecite in materia di rifiuti per la Terra dei fuochi) interviene a tutto campo su quella del TUA, inasprendo le sanzioni e introducendo – peraltro con ampi rinvii ad altre leggi e, spesso, con espressioni molto generiche (quali, ad esempio, siti contaminati, deterioramento della biodiversità o dell’ecosistema) – ulteriori nuovi illeciti minuziosamente elencati con relative sanzioni. E questo anche per i fatti più semplici.Oggi, dopo questa legge, ad esempio, è veramente arduo capire quale sia la sanzione per chi insudicia le nostre strade con oggetti gettati fuori da un’auto: occorre capire se si tratta di rifiuti, oggetti diversi dai rifiuti o qualsiasi cosa, se si tratta di rifiuti urbani gettati nei pressi di un cassonetto nonché sapere se l’auto sia ferma o in movimento. Peraltro, con queste leggi, ci vogliono organi di controllo altamente specializzati, aggiornati e dotati di personale adeguato.Proprio quello che manca salvo poche eccezioni quali il NOE dei CC o, in parte, i carabinieri forestali. Tanto più che ancora si deve dare attuazione al Regolamento SNPA del 2024 che delinea e disciplina la figura degli ispettori incaricati dei controlli ambientali nell’ambito delle ARPA, definendone titoli di studio, formazione (con esperienza di almeno 6 mesi nei settori specifici), aggiornamento (almeno annuale) e competenze con relative modalità di svolgimento nel rispetto di un preciso codice etico.Insomma, è necessario rivedere e semplificare al più presto il quadro normativo e operativo come del resto ci impone la Ue con la direttiva sulla tutela penale dell’ambiente del 2024 che dovrebbe essere recepita entro il 21 maggio 2026 , incentrata giustamente sulla prevenzione ((“il miglior reato è quello che non viene commesso”), obbligando, nel contempo, gli Stati membri a destinare personale qualificato, adeguate risorse, tecniche e finanziarie, e strumenti investigativi efficaci per controllare la criminalità ambientale con aggiornamenti periodici specializzati per forze di polizia e magistrati.L'articolo Boom di reati ambientali, ma le indagini sono sempre più complicate (specie in Italia) proviene da Il Fatto Quotidiano.